Non c’è salvezza: con le urne alle porte si alzano i decibel e il populismo la fa da padrone. Al massimo si cerca di mimetizzarlo un poco, ma niente di che. Eppure il momento continua ad essere molto delicato (il Presidente Mattarella lo ha ricordato con parole forti di fronte al Bundestag a Berlino), sicché ci sarebbe necessità di non seminare spaesamento nella pubblica opinione. La classe politica italiana, o almeno gran parte di essa, ritiene che siamo ad una sorta di grande confronto finale in cui si vedrà se il destra-centro stabilizzerà la sua egemonia per i prossimi decenni o se le opposizioni, non è del tutto definito con quale formula, torneranno a guidare la politica italiana. Sono aperte le scommesse, le previsioni, le analisi e quant’altro e va di moda partecipare a questo grande gioco. In realtà si sottovaluta che molto dipenderà dalla piega che prenderanno gli equilibri internazionali da cui dipendono, più di quanto ci si immagini, gli andamenti delle economie.
È evidente che in fasi di passaggio i segnali che si susseguono sono variegati ed ambigui: di conseguenza ciascuno può vantare di aver visto la sua rondine che farà primavera, prontamente smentito da chi gli obietta che un esemplare di quell’uccello non basta a segnare il cambio di stagione. Fuor di metafora, siamo appesi all’andamento della guerra russo-ucraina, allo sviluppo o allo stallo della stabilizzazione nella Striscia di Gaza, a quanto accadrà con la crisi del Venezuela (in cui è intrappolato, non dimentichiamolo, il nostro connazionale Trentini detenuto arbitrariamente nelle prigioni di quel paese). Non che siano gli unici focolai di guerra. Ce ne sono di altrettanto drammatici come il Sudan, ricordato sulle pagine di questo settimanale, ma c’è scarsissima per non dire nessuna attenzione per questa tragedia.
L’Italia si troverà a dover fare i conti con l’evoluzione di questi scenari essendo coinvolta in un sistema di alleanze, ma ancor più in quanto paese chiave della UE, e sarà costretta a farlo con una classe politica che si balocca con queste emergenze per venderle come merce per i vari populismi che la animano. La confusione che regna in materia di sostegno alla resistenza ucraina è palese. Il governo, ovvero Meloni, Tajani e Crosetto, mantengono la nostra politica di fiancheggiamento di Kiev, ma non si riesce a capire in cosa realmente consista: tipologia e portata degli aiuti sono secretate per non prestare il fianco agli attacchi della Lega e alle intemperanze dei Cinque Stelle e dell’estrema sinistra. Il PD si mantiene il più che può nel vago, per non rompere l’equilibrio fra le sue componenti. E non parliamo della politica sulla questione di Gaza, dove ci si muove in un mare di nebbia. Come in queste condizioni si possa avere una politica europea di peso è una domanda più che legittima.
La risposta è che non c’è, o almeno non la si può esporre, perché altrimenti si alzerebbero i decibel dei diversi populismi il che è problematico col voto in Campania, Puglia e Veneto questo fine settimana. Meglio tenersi sul populismo classico, che va dalle solite promesse della destra su interpretazioni diciamo così lassiste in materia di regole fiscali e non solo (il pasticcio del condono edilizio ripristinato per la Campania è parte di una storia infinita), alle litanie della sinistra sulla crisi della sanità, sulle politiche abitative, sui bassi salari, ecc.
Intendiamoci: non è che i populismi tanto di destra quanto di sinistra siano completamente campati per aria, piuttosto è che denunciano i problemi esasperandoli senza avviare neppure uno straccio di soluzioni. Ma più denunci mantenendoti nel vago, meno sei attaccabile dagli avversari che potrebbero mostrare quanto le soluzioni proposte siano deboli. Verrebbe da dire: arriverà la settimana prossima, si chiuderà questo confuso ciclo di test elettorali regionali, probabilmente con un pareggio (3 regioni al destra-centro, 3 al campo largo) e si potrà forse cominciare a parlare di cose serie ed a confrontarsi con un minimo di costrutto.
Temiamo non ci sia da farsi illusioni: c’è in campo il referendum sulla riforma Nordio che scalda le contrapposte formazioni di pasdaran coi loro corifei, c’è la Lega, ovvero Calderoli, che ha ottenuto che si avvii il rito delle pre-intese con le regioni interessate all’autonomia differenziata, e poi naturalmente c’è la consueta guerriglia per le briciole della legge di bilancio, cosa che per lo più serve a delegittimarla, o comunque ad oscurarne le ragioni, buone o cattive che le si possa ritenere. Ne parleremo, ovviamente, perché da queste scadenze non si scappa.