L’Italia, l’Europa e la questione ucraina

Sono giorni drammatici. Da parte europea e anche americana si sta cercando, sia pure con visioni poco convergenti, di avviare una trattativa che ponga fine alla tragica guerra in Ucraina, ma la Russia è più che sorda e non deflette dai suoi obiettivi che sono ovviamente inaccettabili, perché semplicemente punta a ridurre quel paese ad uno stato vassallo senza alcuna autonomia sostanziale. Putin è ostinatamente convinto di avere in mano tutte le carte vincenti, per cui tanto Kiev, quanto Washington dovranno accettare il suo piano. Dell’Europa gli interessa poco o nulla, perché pensa che sia la classica tigre di carta: un coacervo di stati mal amalgamati che non riuscendo ad essere veramente uniti non hanno le risorse, economiche e militari, per mettere in crisi i disegni russi.

L’Italia si trova a dover affrontare questa congiuntura molto difficile con una geografia politico-partitica molto frastagliata e con il problema di una situazione economica che è appena stata messa in un relativo equilibrio, ma che non ha la stabilità per sopportare quanto la situazione richiederebbe, cioè nuova spesa. Ne è testimonianza il rinvio del dibattito parlamentare sulla nuova tranche di aiuti a Kiev, giustificata con varie scuse, fra cui quella di un possibile successo delle trattative di tregua, se non di pace, avviate da Trump. È al momento una pia illusione ottica, a meno che il presidente USA non costringa il governo di Kiev ad accettare una cosiddetta “pace cartaginese”, cioè una accettazione delle condizioni giugulatorie imposte da Mosca.

Essendo difficile pensare che Zelensky e il suo popolo possano accettare qualcosa di simile, almeno in questa fase, si pone per l’Europa, e di conseguenza per l’Italia, il problema di come sostenere la prosecuzione della resistenza ucraina almeno per un altro anno nella aspettativa che la Russia debba alla fine arrendersi lei all’insopportabilità del costo dell’imperialismo putiniano. Stiamo parlando di un passaggio tutt’altro che facile per gli europei, perché richiede un imponente sostegno innanzitutto finanziario a Kiev e in parallelo l’accettazione del riarmo militare. Sul primo fronte sappiamo che la UE di suo non ha fondi per dare a Zelensky i molti miliardi necessari, per cui punta ad utilizzare gli interessi degli asset russi immobilizzati nelle banche europee (prevalentemente belghe), ma è una scelta molto rischiosa. Manca la presenza di basi giuridiche solide per questa operazione che può apparire una confisca illegale. Se il sistema di giustizia internazionale su ricorso dei russi condannasse l’operazione europea, gli stati membri si troverebbero a dover dividere fra loro il pagamento dei danni, e sarebbe una cifra molto pesante.

L’Italia è fra i paesi che sono più che restii, anzi che sono contrari a correre questo rischio e si può capirlo: l’attuale governo vedrebbe terremotato il bilancio nazionale e questo certo non lo porrebbe in buona posizione coi cittadini, che nel caso concreto sarebbero anche chiamati alle urne per le elezioni nazionali proprio quando diverrebbe evidente l’esistenza di questo buco. Contemporaneamente però nessun paese, a cominciare dal nostro, se la sente di caricare sul bilancio comunitario incrementato, il che vorrebbe poi dire sulle spalle di tutti i contribuenti, la spesa per sostenere l’anno di resistenza ulteriore degli ucraini.

Naturalmente tutti sappiamo che le forze politiche italiane sono sul tema del sostegno a Kiev più che divise. Salvini ha già annunciato fuoco e fiamme contro la prosecuzione anche dei relativamente modesti sostegni in corso; Conte, Fratoianni e Bonelli hanno fatto più o meno lo stesso, la direzione del PD appare più che altro incapace di schierarsi, perché le sue componenti consapevoli della situazione europea e internazionale sono per una presenza responsabile nella strategia della UE, mentre utopisti e barricadieri, temendo di perdere il contatto con le non piccole frange estremiste della sinistra vorrebbero quantomeno congelare tutto. Aggiungiamoci ora che in parallelo si pone la questione dell’organizzazione di una autonoma difesa europea a fronte del crescere degli imperialismi (non c’è solo quello russo, anche se è il più minaccioso).

Su questo fronte la UE ha avviato un piano finanziario di sostegno al riarmo che mette in campo 15 miliardi di prestiti a tasso più che agevolato. Già 19 stati, compreso il nostro, hanno chiesto di fruire di questi fondi, ma nel caso dell’Italia si tratta di fare altro debito, per quanto facilitato, e anche qui le spaccature fra le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione sono notevoli. Soprattutto perché è molto diffusa nel nostro paese (così come in molti altri) una mentalità che considera la possibilità del coinvolgimento in una guerra pressoché inesistente.

L’orizzonte è fosco, come si sarebbe detto con un po’ di retorica, e la politica italiana, anziché lavorare per rasserenarlo con responsabilità, sembra attratta dal giochetto di spingere sulle paure che provoca questa situazione.

vitaTrentina

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