I manifesti sul Papa e l’opposizione a bassa voce

Sabato 4 febbraio nel centro di Roma sono comparsi numerosi manifesti con un soggetto e un contenuto decisamente singolari: una grande foto di Papa Francesco con il volto (stranamente) corrucciato; l’incipit un vernacolare e greve “A France’…” (richiamo solitamente riservato nell’Urbe a Francesco Totti), seguito da un testo con riferimenti polemici ad alcuni atti più o meno recenti che hanno caratterizzato questi anni di pontificato.  Al di là della povertà dell’argomentare e della forma anonima, che già qualificano l’atto e i suoi autori, forse è opportuno riflettere sull’accaduto in un’altra prospettiva.

La responsabilità di questa azione è facilmente riconducibile a qualche ambiente che di solito viene genericamente classificato con l’aggettivo “conservatore”. Ma probabilmente l’episodio in questione è specchio anche di altro … Si tratta di un’opposizione che muove da segrete stanze (o sagrestie) e palazzi all’apparenza fedeli e allineati; che di solito parla a bassa voce, ispirando semmai le penne e le tastiere di blogger e giornalisti ben pagati; che tiene ben oliate le cordate di potere per poter riprendere la scalata appena possibile.

Ma si tratta anche di persone e mondi orfani di "passate gestioni", che preferiscono sempre un concetto musealizzato di “tradizione” ed il rassicurante ricorso al “si è sempre fatto così”, rispetto ai richiami radicalmente evangelici di questo nuovo magistero, a ogni cambio di visione ecclesiale, a ogni dinamismo pastorale e/o liturgico, alla fatica del discernimento.

Il Papa, giustamente, ha ignorato questo episodio. Il popolo di Dio e il Paese tutto forse dovrebbero porsi qualche preoccupato quesito ed evitare il manzoniano "sopire e tacere". Che certo cattolicesimo abbia le stesse pulsioni retrive e aggressive della peggiore Italia non è una novità. Che la peggior minaccia alle "res novae" di Papa Francesco siano l'indifferenza, l'attendismo e la resistenza passiva di tanta Chiesa, è un elemento più nascosto ma ugualmente corrosivo ed efficace. 

Al Papa molti rimproverano certi atti perché incapaci di comprendere un cambio di lessico e di prospettiva teologica e storica. Nei suoi atti e nei suoi insegnamenti Francesco invita ad un uso “incarnato” e coerente di lemmi e concetti molto presenti nella tradizione cristiana, ma troppo spesso vissuti in maniera astratta e parziale. In un Occidente (e in una Roma) opulento e poco incline a cedere un presunto primato sulle categorie interpretative della realtà (e della trascendenza), quanta difficoltà nel cogliere le parole e la proposta del vescovo “venuto dalla fine del mondo”? Quanto lontana la capacità di comprensione, all’interno della vita e della prassi ecclesiale, di termini come popolo, strada, grembiule, ultimi, giustizia? E del senso trascendente che pulsa nella vita dei poveri, o della subordinazione di ogni certezza al mistero centrale del cristianesimo: l'annuncio – senza esclusioni – dell'amore misericordioso di Dio?

Quanta fatica per chi è legato a schemi incrostati di potere comprendere quel “realismo di Dio” che rifugge astrazioni teologiche, riduzioni della proposta cristiana a strutture etiche e giuridiche, rinunce al confronto col mondo rifugiandosi nell’autoreferenzialità, così come alla ricerca dell'unità nella diversità. E quanta difficoltà a considerare il punto di vista della vita reale e dei più deboli per inverare e far coincidere con coerenza dottrina e pastorale, misericordia e giustizia, legge e coscienza, storia e profezia.

 Maurizio Gentilini

 

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