Armida Barelli, “lavorate ma soprattutto amate”

Armida Barelli vista da Giorgio Romagnoni

A chi la incontrava diceva sempre “Lavorate senza posa, ma soprattutto amate, amate, amate”. Armida Barelli, per cui è in atto un processo di beatificazione, nasce a Milano il 1° dicembre del 1882 da Napoleone e Savina Candiani. Prima di rientrare nel capoluogo lombardo, però, tra il 1895 e il 1899, frequenta l’Istituto Santa Croce di Menzingen, in Svizzera, diretto da un gruppo di suore francescane. Lì impara il francese e il tedesco, e si avvicina anche alla spiritualità francescana e al Sacro Cuore.

Rientrata in Italia, frequenta un corso di cultura religiosa all’arcivescovado di Milano, dove conosce alcune personalità del mondo cattolico organizzato. Tra queste, c’è Rita Tonoli, fondatrice della Piccola Opera per la salvezza del fanciullo, con la quale Armida inizia un lungo lavoro in favore dei ragazzi che vivono situazioni di povertà e di abbandono. Ma tra le personalità c’è anche padre Agostino Gemelli; un incontro decisivo per lei, perché, tra il 1919 e il 1920, assieme a lui, monsignor Olgiati e Vico Necchi fonderà l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Su incarico del cardinal Ferrari, qualche anno prima, fonda la Gioventù femminile cattolica milanese. Ferrari era preoccupato che la propaganda marxista prendesse piede tra le giovani generazioni; per questo affida l’incarico ad Armida Barelli. Nel 1918, papa Benedetto XV la nomina vicepresidente dell’Unione donne cattoliche, dandole l’incarico di formare la Gioventù femminile cattolica italiana.

Maria Sticco, sua collaboratrice, che con lei dirige la rivista della gioventù femminile “Fiamma Viva”, l’ha ricordata così nella raccolta di testimonianze “Testimoni dello spirito – Profili di credenti lungo i secoli” (Edizioni OR Milano, 1980): “Coraggiosa per natura, intrepida per l’amore di Dio che le urgeva dentro, non aveva il complesso del rispetto umano, andava diritta allo scopo”.

Dopo aver fondato la Gioventù femminile, secondo Maria Sticco sono due i momenti cruciali nella vita spirituale e in un certo senso anche politica di Armida Barelli: il fascismo e l’avvento dell’Italia repubblicana.

“Non era nella sua natura né la perplessità, né l’ambiguità”, scrive Sticco. Quindi, quando il fascismo prende il sopravvento e quando molte giovani vi aderiscono, Armida Barelli sceglie di prendere una posizione netta: niente accordi con né con il socialismo né con il fascismo. Mette nero su bianco questo pensiero in un comunicato stampa che viene pubblicato sul Bollettino dell’Unione Femminile Cattolica Italiana il 15 maggio del 1921.

Tra il 1946 e il 1948 si spende invece per la campagna elettorale, chiedendo alle sue giovani di votare la Democrazia Cristiana. “Badate – dice loro – noi non facciamo politica… Ma noi siamo cattoliche al cento per cento, e non solo praticanti, ma militanti. Vogliamo perciò con tutte le nostre forze un’Italia cristiana”.

Poco dopo il risultato elettorale, per lei soddisfacente, Armida Barelli scopre di avere una paralisi bulbare che, pochi anni dopo, la porterà alla morte. Muore infatti a Milano nel 1952 e dal 1953 è sepolta nella cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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