“La mia vita di gioia”

Dalla Provincia andina del Canar in Ecuador la bella testimonianza di Maria Luisa Cortinovis e della sua famiglia. Una vita spesa in un volontariato fedele all’uomo e a Dio

“Guardiamo a un futuro dove, in armonia con l’ambiente, al centro di ogni interesse vi sia la persona, i suoi diritti, le sue necessità”. Il claim, il motto, lo slogan dell’Accri – l’Associazione di cooperazione cristiana internazionale aderente alla Focsiv, di cui è volontaria da una vita -, Maria Luisa Cortinovis, la “senorita Luisa” per la comunità di La Troncal, nella Provincia andina del Canar in Ecuador, dove dal 1971 opera insieme al marito Sergio Beretta nel campo educativo, è la parola maestra che segna il cammino quotidiano di fedeltà all’uomo e a Dio. “Accanto, sia ben chiaro, alla Parola”, precisa, perché “ogni giorno si apre con la preghiera”, ci dice voltandosi verso il marito Sergio e indirizzandogli uno sguardo d’intesa. Li incontriamo nella sede dell’Accri di Trento, dove i responsabili dell’organizzazione e i suoi volontari sono giunti a festeggiarli.

La persona, i suoi diritti, le sue necessità, l’ambiente (il Creato…): quasi un programma politico, senorita Luisa.

“Noi non facciamo politica, ma la politica del Vangelo, che è radicale. Gesù ci ha detto: – Vai, vendi tutto…”.

E così tutto è cominciato, negli anni Settanta.

“Frequentavo un corso di formazione al volontariato internazionale, con un’associazione di Bergamo. Un percorso serio, di due anni. Lì conobbi il mio futuro marito (Sergio Beretta, lì accanto, annuisce con lo sguardo, ndr). Ci sposammo alla fine del periodo di stage e partimmo”.

Destinazione Ecuador, La Troncal, nei primi anni con l’associazione Tecnici Volontari Cristiani di Milano, poi con l’Accri: migliaia di ettari piantati a canna da zucchero, cime oltre i 4.000 metri d’altezza, umidità costante, che penetra nei vestiti e nella pelle.

“La Troncal non mi è mai piaciuta. Ma è lì che Dio ci ha mandati”.

Poi sono arrivati i figli, un maschio e una femmina, oggi professionisti competenti nei rispettivi settori, l’uno ingegnere, l’altra medico chirurgo. Cresciuti lontano dall’Italia. Mai avuto ripensamenti?

(Interviene Sergio): “Quando uno si dà totalmente al Signore – noi siamo missionari laici -, perfino all'interno della comunità cristiana c'è chi storce il naso, c'è chi ti prende per matto. Io dico che se i genitori stanno bene nel posto dove stanno, anche i figli stanno bene. Loro hanno studiato in Ecuador, hanno voluto così. Condividono la nostra scelta. Vedono che siamo felici. Darsi agli altri rende felici”.

Maria Luisa, la domanda che vi hanno fatto più spesso?

“Perché siete partiti, con tanti problemi che ci sono anche qui (in Italia, ndr)?”.

E lei cosa risponde?

“Rispondo aprendo il Vangelo: quando Cristo ha inviato gli apostoli, la situazione era terribile. Eppure… I volontari che partono sono come luce che illumina il mondo. E tornano con un carico di umanità, di rabbia, di voglia di cambiare il mondo”.

Ve l’ha chiesto anche Papa Francesco: lottate contro le cause strutturali della povertà, fate la storia con i poveri. Se non è cambiare, questo!

“Cambiare è possibile, ma non con gesti sporadici. Lo possono fare i cristiani che si danno la mano ed entrano nelle strutture di orrore per cambiarle”.

Cosa è la solidarietà?

“E' pensare e decidere insieme per cambiare il mondo dalla bruttura. Chi è a Trento, agisca a Trento. Io a La Troncal sono lì per cambiare. Ai nostri ragazzi e ragazze diciamo: dobbiamo cambiare quello che abbiamo intorno, dobbiamo renderlo bello”.

E il volontariato?

(Ancora Sergio interloquisce): “Per noi è una scelta profondamente cristiana. Che per alcuni si è tradotta in scelta di vita, fino al sacrificio (sono 60 i volontari Accri morti in questi anni, ndr). Credo che l'Accri e gli organismi di volontariato cristiano debbano presentare il volontariato come una scelta di vita, non come una esperienza da fare”.

Dai pochi ragazzi e ragazze con i quali avete avviato a La Troncal l'avventura dell'Unità educativa San Gabriel, oggi realtà formativa di eccellenza, ai 760 di quest'anno.

“Ma le difficoltà non sono certo mancate. Allora mi ritiravo nella cappellina a pregare”.

Per poi ripartire ed essere espressione, come vi ha detto Papa Francesco riprendendo le parole di don Tonino Bello, di quella Chiesa che si cinge il grembiule e si china a servire i fratelli in difficoltà.

“Cingere il grembiule per me significa vivere la quotidianità con loro, darsi a loro e permettere a loro di dare. La nostra è una presenza di cammino insieme. I poveri possono dare ad altri poveri. Perché c’è sempre chi ha meno di noi. La proposta che facciamo nella nostra scuola è una proposta di solidarietà, per guardare al di fuori della nostra casa, del nostro egoismo, del nostro io per andare a chi ha meno di noi”.

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