Il Sinodo di ottobre è un’opera aperta

Tramite il secondo questionario Papa Francesco ha chiesto il contributo di tutti e lo sollecita attraverso un nuovo testo

Qualche anno fa, il pastoralista viennese Paul Zulehner concludeva un suo libretto sull’esigenza di rinnovati esercizi spirituali per la Chiesa, oggi, richiamando una nota poesia di Erich Fried (non esattamente un capolavoro letterario, a onor del vero…) intitolata “È quel che è”. La nostra razionalità e la nostra mentalità calcolante, diceva in pratica la poesiola, ci inducono a fornire, delle varie situazioni, una classificazione e gradazione. È solo l’amore che, di fronte al mondo, ci consente di dire: “è quel che è”, ad accettare cioè la persona o la circostanza che ci viene incontro con spirito di accoglienza, disponibilità e fiducia.

Leggendo i Lineamenta “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” preparati in vista della XIV Assemblea Generale Ordinaria che avrà luogo dal 4 al 25 ottobre 2015, si ha l’impressione che i vescovi abbiano in qualche modo voluto ispirarsi a quelle parole di Fried.

È un dato storico che, negli ultimi tre decenni, la Chiesa cattolica abbia tenuto, nei confronti del ‘mondo contemporaneo’, un atteggiamento per così dire di ‘arroccamento’: al cospetto di un mondo che conosceva in misura crescente l’esperienza della secolarizzazione e della  ‘scristianizzazione’, la Chiesa si è spesso attestata su posizioni oppositive, allo scopo di segnalare la diversità strutturale del suo messaggio e del suo contenuto veritativo rispetto alla mentalità corrente. Se tali posizioni erano indubbiamente guidate dalla pur lodevole volontà di preservare il messaggio evangelico da contaminazioni indebite, il risultato che, anche contro le intenzioni originarie, ne è tuttavia sortito è stato spesso quello di uno ‘scollamento’ tra le parole magisteriali della Chiesa e il sentire diffuso delle persone – ivi comprese una parte consistente dei fedeli della Chiesa stessa. Il mondo contemporaneo ha quindi cominciato a percepire la Chiesa, nelle sue espressioni magisteriali, come sostanzialmente distante dalle difficoltà e dalle tensioni vissute nel quotidiano, con il risultato che la dottrina, ossia la spiegazione del messaggio evangelico, si è tradotta spesso in dottrinalismo, ossia in una elencazione di precetti, e la tensione morale, ossia lo sforzo di costruire percorsi di vita improntati all’unica vera legge di Cristo, che è legge d’amore, si è tradotta in legalismo e giuridismo, ossia in una casistica rigida e fredda di norme e sanzioni.

Il Concilio Vaticano II, in particolare con la “Gaudium et Spes”, la costituzione pastorale sul ‘mondo contemporaneo’, aveva tentato di guardare al mondo con un occhio diverso. Un occhio cioè puntato sulle gioie e le speranze, le angosce e le paure degli uomini e delle donne della realtà odierna là dove essi ed esse concretamente si trovano a vivere. La nozione di ‘mondo contemporaneo’ introdotta dal Concilio non era dunque, nelle sue intenzioni, una nozione astratta e costruita a tavolino, ma era letto come una opportunità inesauribile di grazia e di redenzione, come il luogo concreto in cui, qui e ora, Dio, ancora e sempre, si rivela: non a caso Paolo VI, nel discorso tenuto all’Udienza generale del 16 aprile 1969, richiamava l’urgenza, citando il suo predecessore, di “leggere i segni dei tempi”, ovvero l’invito a decifrare nella realtà storica concreta i segni e le indicazioni di un cammino da compiere.

Insomma, il ‘mondo contemporaneo’ va letto e interpretato non con le categorie giuridiche della condanna, ma con quelle dello sguardo amorevole e misericordioso. “È quel che è, dice l’amore”, si legge nella poesia di Fried citata in apertura. I Lineamenta, ritmati sulla triplice dimensione dell’ascolto delle realtà di vita (I parte – “L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia” – nn. 5-11), della contemplazione dell’azione di Dio nel mondo (II parte – “Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia” – nn. 12-28) e del confronto costante con la Parola alla ricerca di nuove prospettive pastorali (III parte: “Il confronto: prospettive pastorali – nn. 29-61), sembrano finalmente recuperare questa attenzione conciliare e, soprattutto, evangelica per i ‘segni dei tempi’ e per il ‘mondo contemporaneo’. Il mondo “è quel che è”, ma è il mondo nel quale tutti viviamo e nel quale Dio si incarna e rivela.

Molto cammino resta ancora da fare per educarci a vedere il mondo contemporaneo con lo sguardo di accettazione dell’amore che dice “è quel che è”. E proprio perché consapevole di quanto lungo ancora sia il cammino, Papa Francesco consegna i Lineamenta, con un ulteriore questionario, nelle nostre mani. Non faremmo a mio avviso un buon servizio alle intenzioni di papa Francesco se considerassimo i Lineamenta alla stregua di un prontuario, di indicazioni da applicare tout-court, quasi si trattasse della ricetta del medico curante. No, se così fosse, si ricadrebbe nel rischio del legalismo e del giuridismo.

No, i Lineamenta sono l’inizio di un cammino. Non vanno letti deduttivamente, “dall’alto verso il basso”, come cioè un insieme di norme da applicare, ma induttivamente, “dal basso verso l’alto”, come cioè un’opera aperta, un documento alla cui scrittura e al cui perfezionamento ciascuno, nello specifico della propria competenza (da qui la scelta, accolta anche dalla diocesi di Trento, di proporre il questionario per focus di interesse), è chiamato a contribuire. Al n. 29 dei Lineamenta si richiama, nell’attenzione che le singole Chiese locali devono portare per la fragilità umana come luogo nel quale la verità si incarna, il tema della comunione “cum Petro et sub Petro”, con Pietro e sotto di lui. Il “con” anteposto al “sotto” è qui estremamente importante. È un camminare insieme, in uno spirito di ascolto reciproco, che viene qui evocato. Un’opportunità da cogliere senz’altro.

Francesco Ghia

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