Francesco a Sarajevo: “Costruite ponti”

In Bosnia Erzegovina Papa Bergoglio ricorda che il Paese ha un posto in Europa. E ripete: “Mai più la guerra”

(Sir) – Dopo la ‘A’ di Albania la ‘B’ di Bosnia, l’alfabeto del dialogo e della pace di Papa Francesco si arricchisce della tappa di Sarajevo, sabato 6 giugno. Undici ore di visita nei Balcani e cinque discorsi per incoraggiare la minoranza cattolica locale, per ribadire la necessità di praticare la pace e la giustizia, e l’urgenza di promuovere la riconciliazione e il dialogo tra le religioni.

In Bosnia la guerra del 1992-1995 è stata congelata dagli accordi di Dayton che hanno sancito la divisione del Paese su base etnica e religiosa, rallentandone lo sviluppo, la crescita sociale e economica e soprattutto la riconciliazione. Tante ferite ancora aperte hanno trasformato Sarajevo, che ha perso la sua immagine da cartolina con la sinagoga, la moschea e la cattedrale, tutte vicine. Sulle rive del fiume Miljacka le divisioni si sentono forti. Venuto come “pellegrino di pace e di dialogo”, Francesco si è detto “lieto di vedere i progressi compiuti” nel dopoguerra, “però è importante non accontentarsi di quanto realizzato e cercare di compiere passi importanti per rinsaldare la fiducia e accrescere la mutua conoscenza e stima”. Un processo che deve coinvolgere la Comunità internazionale, Unione europea in testa. “La Bosnia ed Erzegovina – ha detto ai tre membri (croato, serbo e bosgnacco) della Presidenza Tripartita, il moloch figlio degli accordi di Dayton – è infatti parte integrante dell’Europa. I suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia” europea e “sono un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili”. Dai Balcani Bergoglio grida contro “la barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate”, opponendo a queste “i valori fondamentali della comune umanità”.

“Mai più la guerra”. Sotto il gigantesco Cristo ligneo, posto sull’altare dello stadio Kosevo, davanti a 65 mila persone, Francesco ripete le parole che furono di Giovanni Paolo II nella sua visita in Bosnia del 1997. Con tutta la loro triste attualità. Nel mondo è in corso “una sorta di terza guerra mondiale combattuta ‘a pezzi’, c’è chi questo clima vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle guerre per vendere armi”. Ecco allora il mandato tratto direttamente dalle Beatitudini: “Beati gli operatori di pace”. Ma con una precisazione. Non limitarsi a essere “predicatori di pace”, ma essere “operatori di pace, cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale” che “richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia” e soprattutto “giustizia”. E la vera giustizia “è fare a quella persona, a quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo”. L’esatto opposto di ciò che è accaduto in Bosnia, come hanno testimoniato tre consacrati nell’incontro con il clero e i religiosi in cattedrale. Picchiati, abusati, torturati, ridotti in fin di vita, massacrati per il loro abito e la loro fede. Un racconto di sofferenze che ha colpito molto il Papa che, a braccio, ha voluto rispondere: “Questa è la memoria del vostro popolo e un popolo che dimentica la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria dei vostri padri e madri nella fede”.

Evitare lo scontro con il dialogo. In questo percorso di riconciliazione le religioni hanno un ruolo importante, rivendicato da Bergoglio e che coinvolge non solo i leader, ma tutti i credenti. “Siamo consapevoli che c’è ancora tanta strada da percorrere, non lasciamoci, però, scoraggiare dalle difficoltà e continuiamo con perseveranza nel cammino del perdono e della riconciliazione”. Un invito ripetuto ancora nell’ultimo incontro, con i giovani, “i fiori di una primavera che vuol andare avanti e non tornare alla distruzione e alle cose che ci rendono nemici”. “Lavorate per la pace tutti insieme – ha detto il Papa prima di salire sull’aereo che lo riportava a Roma -, Che questo sia un Paese di Pace”.

Daniele Rocchi

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