I conflitti tra uomini e tra uomini e natura “accendono” il Trento Film Festival

“The taking”

Almeno finora, i documentari in concorso alla 70esima edizione del Trento Film Festival non hanno riservato particolari sorprese. Mancano ancora alcuni giorni di proiezioni e potrebbero magari arrivare. I vincitori delle Genziane si conosceranno sabato 7 maggio. Piuttosto, le “pellicole” maggiormente notate sono risultate quelle caratterizzate da una forte impronta “spettacolare”, ad esempio Fire of love dell’americana Sara Dosa sulla coppia di vulcanologici francesi Katia e Maurice Krafft scomparsi investiti dall’eruzione di un vulcano giapponese che stavano osservando, oppure The taking, dello svizzero Alexandre O. Philippe che ha per paesaggio la Monument Valley e i tanti western che vi si sono girati o, ancora, The last mountain del britannico Chris Terrill su una famiglia di alpinisti segnata da più di un lutto.

L’impressione è che l’”esplosione” delle piattaforme televisive, rifugio di sempre più spettatori che negli ultimi due anni, a causa della pandemia e delle conseguenti limitazioni, ne hanno saccheggiato i palinsesti, abbia deviato diversi autori verso la ricerca di elementi di impatto visivo ed emozionale spendibili e appetibili televisivamente più che riservare il loro interesse al racconto, ad una grammatica magari a volte elementare che però trova la sua forza espressiva nella storia in sé.

E’ in altre sezioni che il Festival ha proposto “pellicole” di interesse e attualità. This rain will never stop dell’ucraina Alina Gorlova, girato in uno splendido bianco e nero, segue un giovane curdo siriano, Andriy, che, scappando dalla guerra “a casa sua”, approda nel Donbass, dove si spara dal 2014, non certo “solo” dallo scorso 24 febbraio quando i russi hanno invaso l’Ucraina. è anche la storia della sua famiglia dispersa tra Ucraina, Kurdistan iracheno e Germania. Un peregrinare, un senso di precarietà, di radici ormai perse, ma con il desiderio, comunque, di ritornare nel proprio Paese d’origine. Un’opera che, pur con qualche passaggio “incerto”, divisa in capitoli, probabilmente avrà un seguito della stessa cifra visto che la regista è rimasta a Kiev per documentare ciò che sta accadendo in questi mesi di guerra.

Dalla Georgia arriva Water has no borders di Maradia Tsaava. Anche qui una terra dimezzata a causa di un conflitto. Da una parte la Georgia, dall’altra la repubblica separatista filorussa dell’Abkhazia. Nel mezzo una diga di cui entrambe le entità sfruttano l’energia prodotta nonostante il confine. La regista, in attesa di un permesso per passare in Abkhazia che non arriverà, racconta le storie di chi lavora alla centrale, “delle persone le cui vite sono state distrutte dai disordini politici del passato e ascolta le storie segrete che svelano la realtà della vita di confine”.

“Naya. Der Wald hat tausen Augen”

Tornando al concorso, un paio di cortometraggi vanno segnalati. Naya-Der Wald hat tausend Augen di Sebastian Mulder ha per protagonista una lupa che dall’est della Germania arriva fino in Belgio. Visto che è dotata di un collare Gps, ne viene seguito il viaggio, ma anche le reazioni che provoca questo suo peregrinare nell’opinione pubblica. Che, in un primo momento sono di simpatia e complicità, fino a chiedersi quando mai e se arriverà il lupo con conseguente nascita della prole. Atteggiamento che cambia nel momento in cui la coppia si metterà a razziare le pecore della zona, facendo in pratica il proprio “lavoro”. Come a dire, ci fosse la necessità di un’ulteriore prova, di quanto sia ancora irrisolto il rapporto tra uomini e animali selvatici. E certo non solo in Trentino. Di particolare suggestione visiva la trasposizione cinematografica dei tracciati del percorso di Naya in giro per l’Europa.

Yungay 7020 di Raquel Calvo Larralde e Elena Molina Merino riporta all’attenzione gli esiti catastrofici del terremoto che in Perù, nel 1970, cancellò la città coloniale di Yungay dove i morti furono 25 mila a causa del crollo a valle di un costone del monte Huascaran. Un gruppo di sopravvissuti ricorda e dissemina il paese di fiori come fossero messi su tombe in ricordo di tutti quelli, sepolti dalla montagna, che non sono mai stati ritrovati.

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