La danza dei draghi declinata al femminile

La serie cult “Il Trono di Spade” (“Game of Thrones”, 2011-19), targata Hbo e nata dalla penna dello scrittore George R.R. Martin, per otto stagioni ha calato lo spettatore nello scenario di un Medioevo fantasy le cui direttrici sono violenza e sopraffazione, un’implacabile ossessione per il potere. Una potente e feroce metafora della società umana, di ieri e oggi, raccontata nel suo deragliamento morale. Visto l’enorme successo, che ha infranto record per ascolti e modalità di fruizione, Hbo ha dato semaforo verde a vari prequel e spin-off. Così da fine agosto 2022 su Sky e Now troviamo la serie “House of the Dragon”, ambientata quasi due secoli prima delle vicende narrate ne “Il Trono di Spade”. Dieci episodi, l’ultimo rilasciato il 24 ottobre.

Sul Trono di Spade siede re Viserys Targaryen (Paddy Considine). Non riuscendo ad avere un erede maschio, nomina come successore la figlia Rhaenyra (Emma D’Arcy). Risposandosi poi in seconde nozze con Alicent Hightower (Olivia Cooke), Viserys diventa finalmente padre di due maschi, Aegon II ed Aemond. Questo apre una pericolosa frattura. Chi sarà il futuro re?

Giunti al decimo episodio, eccone un bilancio. Anzitutto a firmare la serie, con lo scrittore Martin, sono gli showrunner Ryan Condal e Miguel Sapochnik (quest’ultimo ha rimesso però l’incarico da alcune settimane), subentrando agli storici autori di “Game of Thrones” David Benioff e D.B. Weiss. Il rinnovato team ha offerto la possibilità di ridefinire ascisse e ordinate del racconto di Westeros, ma non ne ha cambiato sostanzialmente formule e dinamiche. Lo sfondo narrativo, tematico, è rimasto invariato. Di certo, ancor più marcato è il ruolo delle donne, che rubano quasi del tutto la scena ai personaggi maschili: tra affinità e rivalità, il Trono è conteso dalla principessa Rhaenyra e dalla regina Alicent. Se la storia gira su un binario collaudato, con una qualità della messa in scena sempre elevatissima (forte anche di un ingente investimento), a ben vedere la fragilità di “House of the Dragon” si riscontra nella linea del racconto: nei 10 episodi sembra di essere in perenne attesa che qualcosa accada, che la situazione svolti o precipiti all’improvviso. Un’attesa, però, che non trova mai piena soddisfazione, risolvendosi in soluzioni sì acute ed eleganti, ma senza troppo senso, mordente. Anche il finale di stagione inciampa in questo, squadernando linee narrative prevedibili, insistite, destinate a trovare sviluppo in futuro. Peccato, perché dalle premesse “House of the Dragon” sembrava garantire di più: a latitare sono incisività e originalità, rimanendo fin troppo stanziali nella zona di conforto del “Trono”.

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