Una manovra finanziaria tra realismo e ambiguità

Oggettivamente il passaggio sulla manovra di bilancio è sempre una prova difficile per il governo, particolarmente se la si deve fare con un esecutivo insediato da poco, con alle spalle una campagna elettorale infiammata, con un quadro finanziario compromesso dall’assorbimento di risorse conseguenza delle crisi sanitaria dovuta al Covid ed economica dovuta alla guerra imperialista di Putin. La premier Meloni doveva muoversi in questo contesto con tutti che l’aspettano al varco.

Come se l’è cavata? Un giudizio netto è difficile, non da ultimo perché la manovra deve passare non solo per il vaglio di Bruxelles (ma lì non crediamo ci saranno grandi problemi), ma soprattutto per quello del parlamento, dove con la situazione attuale i colpi di mano sono più che possibili. Al momento si può dire che la legge di bilancio si presenta come una continuazione prudente di quanto impostato da Draghi con l’appendice di qualche bandierina messa lì un po’ per far vedere che comunque adesso al potere c’è “la destra”, un po’ per tenere buone la Lega e FI a cui è stato concesso molto poco e perciò qualcosa da sbandierare andava pur dato anche a loro.

La grande incognita è l’andamento che avrà l’economia nel prossimo anno. Alcuni analisti non la vedono grigia contando sia sull’effetto degli interventi legati al PNRR, sia su un certo dinamismo delle nostre imprese (finora le esportazioni hanno in buona parte tenuto, il turismo ha avuto ottimi risultati). Altri avvertono che a scompaginare tutto arriverà un’inflazione che secondo qualche previsione potrebbe toccare il 17-18%, il che sarebbe una botta pesante su una struttura sociale già preda di molte diseguaglianze.

Tenendo conto di queste variabili la componente responsabile del governo (Meloni-Giorgetti) si è tenuta sul prudente. L’obiettivo è accreditarsi a livello interno e internazionale senza dare spazio a chi punta a minarne la tenuta. Per adesso c’è il risultato di vedere lo spread che non cresce, segno che i mercati non vedono pericoli, ma sono fenomeni che cambiano nel volgere di una notte se si palesassero cambiamenti di scenario. E questi non sono da escludersi sia per il nervosismo di Salvini e Berlusconi che non vedono recuperi nei sondaggi e che dovranno affrontare elezioni regionali che presentano varie incognite, a partire dalla conferma che FdI li ha ormai doppiati riducendoli al ruolo di junior partner.

La legge di bilancio contiene curiosamente elementi di realismo che vengono presentati con ambiguità.

L’esempio lampante sono le misure sul reddito di cittadinanza. Nei fatti per il momento si è scelto di intervenire toccando il minimo possibile, consapevoli che in una fase difficile era complicato intervenire su uno strumento pasticciato che mette insieme sostegno alla povertà, sussidio alla scarsità di occupazione, e una quota di assistenzialismo a buon prezzo. Però siccome si era strombazzato che si doveva mettere fine allo scandalo di quelli che si fanno pagare dallo stato per poltrire sul divano davanti alla TV, si è camuffato il tenere quasi tutto com’è con condimenti demagogici come l’obbligo per i percettori che sono abili al lavoro di seguire corsi di formazione (vogliamo vedere chi sarà in grado di mettere in piedi una macchina così complessa se non si vuol farne la solita sceneggiata senza contenuto reale). Questo però non basterà ad impedire che il populismo delle opposizioni, pressato dai Cinque Stelle, chiami all’agitazione sociale contro il governo che affama i poveri. Conte l’ha già annunciato e il Sud su questi argomenti è una polveriera, sicché poi sarà difficile che il PD, già in una confusione notevole per la competizione alla segreteria, non si aggreghi.

L’ultima cosa di cui il paese avrebbe bisogno, specie se davvero l’inflazione si infiammasse ulteriormente, è una stagione di tensioni sociali, di cui peraltro qualche scintilla già si intravvede. Meloni punta, comprensibilmente dal suo punto di vista, a consolidarsi almeno per tutta la durata della legislatura, ma non le sarà facile tenere a freno la sua coalizione se il contesto sociale diventasse problematico.

Il quadro non è tranquillizzante per le fibrillazioni che attraversano tutte le forze politiche, il che rischia di spingere tutti, ciascuno dal suo punto di vista, a cadere vittime dell’integralismo cosiddetto identitario, per non dire dell’estremismo di varia coloritura.

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