I problemi del paese di cui non si vuole parlare

Giorgia Meloni. Foto Presidenza del Consiglio dei ministri

La notizia che la Corte dei Conti ha steso un rapporto sul fatto che non si riesce ad avviare la costruzione di nidi e scuole per l’infanzia come previsto dal PNRR ha suscitato scarso interesse, oscurata dal bailamme sulla corruzione nell’ambito dell’Europarlamento. Non che si tratti di uno scandalo di scarso rilievo, sebbene scoperchi una pentola che non era esattamente del tutto ignota: il lavoro di “ungere le ruote” per ottenere interventi parlamentari a proprio favore è una costante in tutti i sistemi, poi ci sono modalità e limiti che sarebbe bene non superare. Ma, per dirla con una battuta, si sa che l’occasione fa l’uomo ladro.

Tuttavia la notizia che abbiamo dato in apertura è ben più preoccupante, perché certifica tutte le nostre difficoltà a rendere operativo il PNRR. Nel caso specifico si tocca un punto non secondario: chi non si è rivelato in grado di fare i progetti, di avviare i bandi, non parliamo del mettere in piedi i cantieri sono stati i comuni e le regioni a cui spettavano questi compiti. Inutile aggiungere che si tratta di realtà in cui le strutture per l’infanzia sono carenti, a volte molto gravemente, perché altrove nidi e asili ci sono, anche se non sempre in maniera sufficiente a coprire la domanda.

Senza essere accusati di antimeridionalismo bisogna dire che il problema è particolarmente rilevante al Sud. Problemi simili ci sono per gli interventi sulla sanità, sulla scuola in generale, sulle infrastrutture. Non si tratta di problemi sconosciuti. Se ne parla sin dai tempi del Conte 2, che pensava di risolvere la questione costruendo faraoniche super-strutture centralizzate. Chi aveva all’epoca sollevato perplessità su quell’approccio lo aveva fatto perché poi per far funzionare sistemi del genere ci vuole personale all’altezza e non gente scelta con criteri di prossimità ai potenti di turno: per dirla anche qui con una battuta un conto è stato Arcuri, un altro Figliuolo.

Oggi il governo di destracentro si rende conto di avere per le mani una faccenda che non si sa bene come risolvere, ma il cui fallimento potrebbe comportare se non l’abolizione il forte ridimensionamento dei finanziamenti europei: qualcosa che sarebbe una pietra tombale sulla svolta verificatasi con le elezioni di settembre. Dar la colpa di tutto al precedente governo è una mistificazione.

Ovviamente Draghi ha fatto molto, più del possibile, per rimettere in sesto una macchina pubblica che era più che scassata: tanto a livello centrale, quanto ancor più a livello periferico. Del resto qualsiasi persona di buon senso può capire che se sei in una condizione in cui non puoi far fronte all’ordinaria amministrazione è ben difficile che ti possa far carico di spendere in maniera appropriata e in tempi contingentati una marea di soldi come quelli che arrivano col Recovery europeo.

Poi a complicare il tutto ci si mettono le miserie della nostra politica politicante che non riesce a capire che non è più tempo per il piccolo clientelismo. A tutt’oggi non si fanno passi avanti sulla legge per la concorrenza, giusto per tutelare piccole sacche di privilegio (balneari, tassisti), la riforma della giustizia non decolla perché si deve sempre aspettare di far tutto più in grande, nella lotta all’evasione, che è una macchia pesantissima sul nostro sistema, si danno messaggi devianti come l’innalzamento del limite del contante, ma soprattutto la libertà ai negozianti di rifiutare il pagamento elettronico per somme inferiori ai 60 euro (di nuovo un favore ad una molto limitata platea di soggetti).

Non è che l’opposizione sembri rendersi conto della delicatissima contingenza in cui ci troviamo. Opporsi alla legge di bilancio giudicata iniqua con mobilitazioni di piazza non serve certo a risolvere i veri problemi di un paese che avrebbe bisogno di una profonda riforma del sistema pubblico, il quale, diciamolo onestamente, non è in mano ad una sola parte politica, ma nell’attuale contesto di un parafederalismo confuso le coinvolge tutte.

La sfida della gestione appropriata del PNRR non può essere vinta se il governo si arrocca su una autosufficienza di cui non dispone. Si capisce che è azzoppato dalla ricerca da parte degli alleati di coalizione, Lega e FI, di contrastare il proprio declino acquistando voti col clientelismo (al Sud come al Nord …). Tuttavia anche le opposizioni devono capire che se puntano a far esplodere il governo travolgendo con esso il sistema ben che vada conquisteranno al massimo un cumulo di macerie.

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