Tra E.T. L’extraterrestre e Camminacammina, fu Natale, al cinema, nel 1982

Quarant‘anni fa, nelle sale italiane, arrivava un film che sarebbe presto diventato un fenomeno, un “cult” come oggi si ama definirlo, e avrebbe incoronato definitivamente il regista Steven Spielberg, come uno dei nuovi talenti di Hollywood, capace di trasformare un film in un mito contemporaneo.

È questa, infatti, la dimensione di un film come E.T. L’extraterrestre, un’opera che univa gli estremi della tecnologia più avanzata ad una veste cinematografica quasi da B-movie, che ancora regge l’usura del tempo e incanta grazie al cuore incandescente che pulsa sotto quella veste e quegli effetti.

In Italia, il film usciva come racconto di Natale, il 7 dicembre 1982, dopo essere passato per i festival di Cannes e di Venezia. Oggi, decantata la dimensione di racconto extra-terrestre legato alla cultura di fine anni ‘70, la metafora natalizia, meglio ancora cristologica, che sottende la rappresentazione, brilla in modo più vivido e passa soprattutto a livello iconico, attraverso l’impiego di simboli culturali cristiani disseminati ovunque, a partire dalla discesa dal cielo di questa creatura bambina, radicalmente altra ma allo stesso tempo partecipe degli stessi sentimenti che costituiscono l’umano, che diventa interlocutore, specchio e taumaturgo di un bambino profondamente ferito dalla separazione dei genitori e dall’abbandono del padre. Alla discesa seguirà il ritorno dopo la morte e il ritorno alla vita grazie alla fede, allo sguardo puro e all’amore incondizionato dei bambini. All’inizio si era letto tutto questo come un abbassamento del simbolo cristiano alla secolarizzazione americana, ma simboli e miti hanno un potere che sfugge alla volontà e al controllo di chi li maneggia. E d’altronde non è proprio dall’abbassamento del divino all’umano che è scaturita la salvezza?

Il 1982, però, ha visto la nascita di un altro film dedicato questa volta esplicitamente alla cometa, inteso a rileggere il senso della ricerca dei Magi. Camminacammina è forse il film più sentito e meno compreso di Ermanno Olmi. Certo il più dimenticato, perfino dalla Rai che lo produsse. Nasceva infatti come film per la Tv in più puntate della durata di 4 ore e un quarto, e in formato ridotto a 2 ore e tre quarti per il cinema. Oggi la piattaforma Rai non lo mette a disposizione né in un formato né nell’altro, mentre la copia acquistabile in dvd non è di buona qualità.

Sorte misteriosa per un film nato anch’esso dall’incanto dello sguardo di un bambino, quello dello stesso regista davanti al presepe – “il primo spettacolo della sua vita”, come lui lo ha definito – che nel racconto filmico trova figura in Rupo, il giovanissimo discepolo del sacerdote Mel che fa da controcanto critico e permette di riaccostarsi all’Evento di Betlemme con occhi semplici e cuore puro. Semplici, ma non ingenui o semplicistici. Perché da un lato Olmi restituisce alla Ricerca dei Magi una dimensione universale popolare, utilizzando la forma corale di una sacra rappresentazione toscana, dall’altra marca la ricerca del nuovo Nato con la critica alla versione religiosa istituzionale, che tende a nascondere la contraddizione lacerante che segna teologicamente anche il Natale come tutta la storia della salvezza, la violenza del potere da un lato, i compromessi e il tradimento dei sapienti e dei sacerdoti di fonte ad essa, dall’altro.

Probabilmente la differenza fondamentale tra le due opere, al di là delle forme di racconto, sta proprio qui. Nel primo l’adesione allo sguardo infantile del regista è integra e viene ribadita alla fine dall’unico adulto che condivide i sentimenti e l’attesa del piccolo protagonista. È il cuore il protagonista del film, un cuore spezzato che viene riunificato da una parola del cuore. In Olmi l’emozione infantile è filtrata da una riflessione critica che reca i tratti ideologici del tempo e questo le impedisce di raggiungere compiutezza simbolica. Rimane un’opera aperta, affascinante, vibrante, di grande attualità.

La Rai farebbe a tutti un grande regalo se, nel 40° anniversario, la mettesse a disposizione del pubblico, magari nelle due forme.

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