Sarà un anno complicato per la politica italiana

Matteo Salvini a Trento per parlare di grandi opere, si è soffermato sul tema dell’autonomia differenziata – Foto ufficio stampa PAT

Le domande sull’anno che verrà sono un rito nella vita dei giornali e quelle che hanno ad oggetto la politica lo sono anche maggiormente in un paese come il nostro che in quell’ambito si aspetta di vedere di tutto e di più. Certamente non mancano alcune scadenze non lontane che colpiranno la pubblica opinione: come andranno le elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio e chi vincerà la competizione per diventare segretario del PD. Più avanti ci saranno elezioni regionali anche in Molise, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, ma per queste si pensa conterà non poco come andrà nel primo trimestre del 2023.

Avrà importanza anche quel che il governo di destra-centro sarà in grado di realizzare. Per adesso in verità su quel fronte non è che ci sia gran movimento. Le battaglie sulle “bandierine” che piacciono ai pasdaran delle componenti la coalizione non mobilitano più di tanto. Alla gente interessa poco la riforma sul presidenzialismo, nonostante di grande importanza, ma avrà tempi lunghi e per ora siamo agli slogan. Vicende come le nuove norme sull’immigrazione, la sventolata riforma delle pensioni, del reddito di cittadinanza, del cuneo fiscale, rimangono allo stadio di campagne di propaganda e la loro ricaduta si vedrà fra molti mesi. Stesso discorso si può fare per i primi passi concreti con le opere legate agli investimenti del PNRR: iniziative anche importanti, ma non in grado di essere immediatamente apprezzabili da un largo pubblico.

Dunque può darsi che il governo Meloni abbia una navigazione non impegnativa, a meno che non ci siano eventi drammatici che non ci auguriamo, tipo una seria ripresa della pandemia o un precipitare della crisi internazionale intorno all’Ucraina. Per questo ciò che può provocare contraccolpi di non semplice gestione allo stato attuale è l’andamento delle due scadenze da cui abbiamo preso le mosse.

Le elezioni in Lombardia e Lazio al momento sembrano segnare, per quel che valgono i sondaggi, due vittorie della destra-centro. Ma questo se ci fermiamo alle percentuali attribuite ai candidati governatore, certo importanti, ma non al punto di far mettere fra parentesi come andrà la distribuzione dei consensi fra i partiti di quella coalizione. Infatti se FdI surclassasse ancora una volta Lega e FI, se Salvini uscisse ridimensionato e Berlusconi ridotto all’osso, come appare possibile, è difficile escludere che ci sarebbero ripercussioni sensibili sugli equilibri del governo.

È vero che la prevista sconfitta del PD soprattutto nel Lazio potrebbe lenire le sofferenze nella compagine governativa che guarderebbe ad un ulteriore indebolimento del versante delle opposizioni. Infatti i risultati che sembrano prefigurare i sondaggi mostrano un fronte di cosiddetto centro-sinistra (cosiddetto, perché ormai non si sa più né cosa sia il centro, né cosa la sinistra) che unito sarebbe vincente, mentre non lo è proprio per le scelte pseudo-identitarie che hanno fatto le sue componenti. Certo anche qui si devono attendere i risultati di ogni partito perché una crescita o meno di Azione-IV, un andamento espansivo o in contrazione di M5S, una tenuta o meno del PD, avranno come conseguenza la possibilità o meno che si possa provare a ricostruire su qualche tema una iniziativa comune dell’opposizione.

Sarà centrale vedere come finirà l’happening sulla scelta del nuovo segretario del PD. Al momento è tutta una vicenda governata a metà dai media e a metà dagli apparati del partito, entrambe due mosche cocchiere che credono di guidare una opinione pubblica che a noi sembra molto poco coinvolta al di là delle solite riserve indiane dei diversi fan-club. Non ci pare probabile che la vittoria di una candidatura possa assorbire la sconfitta delle altre. Soprattutto una vittoria o una sconfitta della Schlein, che è una meteora inventata per compiacere le pulsioni dei vari massimalismi di moda, non potrà essere archiviata tranquillamente.

Il principale partito di opposizione preso una volta di più nel gorgo delle lotte intestine non potrà rappresentare una efficace controparte dialettica che possa costringere l’alleanza di governo a ridimensionare le sue componenti populiste e questo sarà un enorme problema. Pensate solo alla vicenda dell’autonomia differenziata che è una mina vagante nel quadro attuale, una di quelle vicende che al momento sono nelle mani della demagogia leghista e che sta mobilitando, neanche tanto dietro le quinte, un vasto fronte di forze preoccupate di quel che avverrebbe spaccando questo paese in una dinamica da confederazione di mini repubblichette.

Coi tempi che corrono di una ulteriore crisi della nostra coesione nazionale non abbiamo proprio bisogno.

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