Lo spazio del pianto e della rabbia

Promossa dall’Avulss, la serata all’Oratorio del Duomo

Devi essere forte, girare pagina, la vita va avanti. Non pensarci. Non piangere. Non arrabbiarti. Vedrai, il tempo cura le ferite. Frasi fatte. Parole inopportune che minimizzano. Che non rispettano. Che danno consigli e facili rassicurazioni provocando ulteriore sofferenza proprio quando, invece, occorre lasciare spazio al pianto e alla rabbia. "Sono forzature da evitare perché impediscono l'elaborazione del lutto. Non è il passare del tempo a curare il dolore – ci saranno sempre date critiche sul calendario, come i giorni di festa, i compleanni, gli anniversari -, ma come lo vivi". È il messaggio al cuore dell'incontro con Arnaldo Pangrazzi, padre Camilliano, "Il dolore non è per sempre. Trasformare il lutto in crescita", promosso da Avulss onlus (Associazione di Volontariato Socio-Sanitario), svoltosi giovedì 2 novembre, nel giorno della commemorazione dei defunti, all'oratorio del Duomo a Trento.

"La vita sulla terra è un cammino che guida verso un destino misterioso: è un mistero l'anno, il luogo, la famiglia in cui nasciamo, le esperienze che facciamo durante la vita, e lo è il modo in cui invecchieremo e moriremo", ha esordito Pangrazzi, richiamando poi l'immagine del cactus. "La morte ci rende consapevoli della preziosità della vita, che non è tutta dolore e spine: chi sa aspettare con fiducia, vedrà sbocciare un bellissimo fiore. Tutti sperimentiamo perdite che provocano cordoglio: perdere un figlio che se ne va di casa, un amico che si trasferisce, il lavoro, la salute, la giovinezza, l'autonomia: sono distacchi preparatori all'ultimo, la morte, e al lutto vero e proprio, quando perdiamo una persona cara".

Il lutto è un processo che richiede elaborazione, ossia un lavoro che ha bisogno di tempi adeguati e di atteggiamenti altrettanto adeguati da parte di chi desidera confortare chi soffre: "Siamo davanti ad un cuore ferito, perciò è necessario lasciar parlare la persona del suo amore per chi non c'è più, permettendole così di cicatrizzare la ferita; se invece la interrompiamo, le diciamo di non piangere o cambiamo argomento, ostacoliamo l'espressione del dolore".

Dopo aver spiegato le manifestazioni fisiche, mentali, sociali, emotive e spirituali legate al lutto, Pangrazzi ne ha indicato i compiti: "Si tratta di accettare la perdita, esprimere il cordoglio raccontando quello che ci manca della persona amata e rievocando ricordi, adattarsi alla vita cambiata, investire tempo ed energie in nuove cause e relazioni. Papa Francesco nell'Evangelii Gaudium scrive che la nostra tristezza infinita si cura soltanto con infinito amore: mantenersi aperti, donare affetto agli altri, cura il dolore, al tempo stesso è importante far vivere i nostri cari dentro di noi, testimoniare l'amore che ci hanno dato, onorarne la memoria seguendone l'esempio".

Padre Arnaldo ha poi messo in guardia dal rischio di "velocizzare" l'elaborazione: "I gruppi di mutuo aiuto sono luoghi importanti: aiutano a superare l'isolamento e a curare il dolore nella reciproca condivisione, ma la cultura dominante, improntata a velocità, negazione, rifiuto, non lascia spazio ai vissuti luttuosi che, non elaborati, possono determinare gravi problemi di salute come infarti, depressione, malattie psichiche".

Come superare il dolore? Essendo un'esperienza soggettiva, non esiste una "ricetta" valida per tutti, ma padre Arnaldo ha indicato, in una sorta di decalogo, possibili tappe del percorso di guarigione: accettare i sentimenti che si provano; prendersi cura di se stessi; coltivare nuovi interessi; educarsi a vivere bene il tempo, valorizzando le piccole conquiste quotidiane; contemplare la natura; coltivare la propria spiritualità, imparando a convivere con il mistero e scoprendo le verità nascoste all'ombra del dolore; perdonarsi e perdonare; riconciliarsi con i propri limiti; scrivere alla persona scomparsa – la scrittura è una forma di terapia, liberazione e guarigione spirituale -; trasformare le sofferenze in accresciuta capacità di amare.

"Il dramma della vita non è il dolore, ma la sterilità: dobbiamo ricordare che, pur soffrendo, non abbiamo perso la nostra capacità di amare e se da un cuore ferito nasce la compassione, le ferite, cicatrizzate, diventano feconde nel saper essere prossimi ad altre persone che soffrono".

Per chi crede, infine, la fede può confortare: "La morte di Gesù è un evento che apre alla resurrezione; nel vostro servizio, ricordate la quarta opera di misericordia, quel ‘consolare gli afflitti’ che si può esprimere in piccoli gesti che trasmettono vicinanza e solidarietà come fare una telefonata, invitare a prendere un caffè, accompagnare al cimitero".

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