Intelligenza artificiale, rivoluzione che chiede regole

Ne avevamo parlato nell’ultimo “Oblò digitale” ed è argomento che, nella sua complessità, merita di essere ripreso. Per almeno due motivi. Il primo: l’ingresso dell’intelligenza artificiale nella nostra vita corre senza freni, compreso l’utilizzo di applicazioni che forniscono risposte oggettivamente stupefacenti (soprattutto per lo stile colloquiale e la rapidità della risposta; da affinare invece il valore dei contenuti), e che non sono più strumenti complicati a disposizione degli scienziati, ma vere e proprie chat: semplici, gratuite e disponibili a tutti. È il caso di ChatGPT (e delle sue sorelle) che stanno registrando una così rapida diffusione che non sembra possibile riuscire a starne al passo né per registrarne le opportunità, né per riuscire a soffermarsi sulle criticità, per cercare cioè di capire cosa sta succedendo ed immaginare, anche con una certa preoccupazione, cosa cambierà nella nostra vita, individuale e collettiva.

L’intelligenza artificiale sembra aver conquistato anche le prime pagine dei quotidiani. Peraltro, non è argomento nuovo. Perlomeno in Trentino. Alla fine degli anni Ottanta, trentacinque anni fa, a Castel Ivano, per iniziativa dell’Irst (l’Istituto di ricerca scientifica e tecnologica di Povo, uno dei centri dell’Istituto Trentino di cultura che poi divenne Fbk), gli esperti europei di intelligenza artificiale cominciarono a delineare quello che allora sembrava un futuro piuttosto inverosimile e che invece oggi sta ormai dominando la nostra vita. Proprio Fbk e Università di Trento sono diventate negli anni un riferimento nazionale ed internazionale per quanto riguarda l’AI (dall’inglese ”Artificial Intelligence”), un centro di eccellenza per il quale – come ricorda Alessandro Quattroni – l’esplosione di ChatGPT può rappresentare una grande opportunità nel solco di quanto già tracciato, già alla fine del secolo scorso, da Luigi Stringa e Oliviero Stock.

Chi, in quegli anni, ebbe occasione di rimanere incredulo davanti ai messaggi (ciò che poi sarebbero diventate le mail) inviati da computer a computer, al di qua e al di là dell’oceano, oggi manifesta lo stesso stupore davanti al computer che, in tempi rapidissimi, fornisce testi così ben fatti da poter essere pubblicati senza che il lettore possa cogliere la differenza tra l’articolo scritto dall’intelligenza artificiale e quelli scritti da un giornalista, da uno studioso, da un saggista.

Al punto che il quotidiano Il foglio ha lanciato un concorso tra i suoi lettori. “A partire da questa settimana, il Foglio, per un mese, nasconderà ogni giorno un testo scritto dall’Intelligenza Artificiale tra le sue pagine. I lettori che riusciranno ad individuare questi articoli scritti con questa tecnologia saranno premiati con un abbonamento in regalo e una bottiglia di champagne”. Una provocazione che vale più di un editoriale su un tema che pone grandi interrogativi.

Ciò ci porta al secondo tema. Un manager trentino con grande esperienza globale come Franco Bernabé, ha affrontato la questione in un libro – “Profeti, oligarchi, spie” (Feltrinelli) – che sta avendo grande successo proprio perché affronta il tema anche riguardo alle conseguenze degli effetti dell’intelligenza artificiale per la stessa democrazia. L’era della digitalizzazione – è la tesi del ragionamento – è a suo modo una rivoluzione, ma priva di ricadute sociali. Ciò che invece era successo con la rivoluzione del vapore e dell’elettricità  che sono state innanzitutto delle rivoluzioni tecnologiche, ma hanno cambiato anche le condizioni di vita delle persone, hanno trasformato le nostre società. Da qui una conclusione che appare come una sentenza: “La digitalizzazione sfalda silenziosamente la democrazia e contribuisce alla scomparsa del ceto medio”.  Ciò che comunque non ci è consentito, oggi, è diventare i nuovi luddisti, quelli che in Inghilterra si opponevano alla rivoluzione industriale. Bisogna fare i conti con ciò che abbiamo davanti, anche quando il nuovo ci appare inquietante. Il primo passo, come spiega anche Bernabè, è quello di chiedere un intervento  degli Stati per regolamentare un mondo che oggi non conosce regole. Molto chiaro, al riguardo, l’economista Leonardo Becchetti su Avvenire: “La rivoluzione dell’intelligenza artificiale richiede pertanto un nuovo sforzo di regolamentazione per far fronte a nuovi fallimenti del mercato. Lo vediamo già con i social dove proprietari di piattaforme che massimizzano il profitto  non si fanno scrupolo di orientare lo scambio verso lo scontro e la gogna mediatica che notoriamente producono più contatti e profitti da pubblicità. La regolamentazione servirà a difenderci da forme sempre più sottili di potenziale manipolazione”.

E il moralista Adriano Pessina, docente alla Cattolica, nella sua recente Prolusione alla Facoltà Teologica del Triveneto, ha evidenziato il “rischio primo” che ognuno di noi corre nel rapporto con
le nuove tecnologie e, ancor più, con gli strumenti che fanno uso dell’intelligenza artificiale: possediamo cioè le nuove tecnologie e ne siamo posseduti. “Di fatto, il possesso delle nuove tecnologie,
la possibilità di accedere alla rete informatica, fa, oggi, la differenza della stessa condizione umana. Possedere, però, a volte, si trasforma nell’essere posseduti. E ognuno sa, anche quando finge di ignorarlo, che i proprietari delle tecnologie informatiche posseggono un numero stratosferico di dati che ci riguardano, profilano i nostri gusti, le nostre relazioni, i nostri convincimenti. Così, la nostra autonomia tecnologica è l’altra faccia della nostra dipendenza”.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina