Il “Forum di Limena” e il futuro che vogliamo

Il percorso di un gruppo di cattolici del Nordest per un rinnovamento dopo gli anni della crisi, non solo economica

Nel novembre 2018 si è tenuto il primo incontro del “Forum di Limena”, dal nome del paese in provincia di Padova dove un gruppo di cristiani del Nord Est ha iniziato a incontrarsi, con lo scopo di riflettere sulla situazione del Paese e della Chiesa e cercare nuovi spunti interpretativi e di azione. Una modalità ormai poco diffusa di incontrarsi e interrogarsi da parte del Popolo di Dio, ma emersa con decisione di fronte alla consapevolezza che il tempo presente non è un’epoca di cambiamenti, ma il cambiamento di un’epoca. Frutto delle riflessioni del gruppo in questi mesi il documento dal titolo “Il futuro che vogliamo” (www.forumdilimena.com), presentato sabato 6 aprile in un incontro pubblico, attorno al quale si vuole sollecitare il confronto, col fine di creare relazioni positive e ridando spazio alla speranza che il futuro sia ancora nelle nostre mani. Per troppi anni la Chiesa ha investito troppo poco nella creazione di occasioni e luoghi di riflessione su questi temi e nella formazione di un laicato maturo e con i propri spazi di indipendenza per incidere nella società e su “quel che è di Cesare”.

Mai come in questo momento storico servirebbe uno sforzo potente per una riflessione e una ridefinizione teoretica dei concetti alla base della convivenza umana e del suo futuro (diritti, democrazia, pace, economia, ambiente…), così come ci sarebbe bisogno di elaborare nuove prassi per affrontare i problemi, soprattutto a livello politico. Come ha scritto di recente Mauro Magatti, per uscire dalla crisi generale in cui sembra sprofondato il mondo (soprattutto quello europeo e occidentale) contemporaneo serve un cambio di paradigma. Bisogna cambiare regole e prospettive, adeguare il proprio sguardo a un modo nuovo di interpretare la realtà. E prima che si stabilisca un nuovo paradigma, una nuova normalità, esiste un momento in cui tutte le possibilità sono aperte. Il 2008 ha segnato l’inizio di una crisi economica che si è rivelata anche politica e culturale. Ha provocato la fine di un’epoca contrassegnata dal modello neoliberista, a cui il mondo occidentale aveva affidato tutte le prospettive di crescita economica e di benessere. Un modello ormai incapace di rispondere alle esigenze di un mercato globale sempre più selvaggio e sregolato, che ha mandato in frantumi il rapporto tra società ed economia, e alla degenerazione della politica, sempre più populista e nazionalista. L’unica occasione possibile riguarda la riscrittura di nuove regole. Ma questa scrittura esige di identificare una direzione e percorrerla.

Ad esempio un’alternativa alla cieca economia del consumo, per giungere a uno scambio sostenibile e a proporre una nuova stagione della democrazia.

Dall’epoca delle grandi divisioni (ideologiche e politiche) siamo passati all’epoca della frammentazione, anche dei concetti primari di guerra e di pace. Le tante frontiere della pace (e delle guerre), se una volta passavano dal controllo della politica internazionale e delle fonti energetiche, passano oggi dal controllo di tutt’altri elementi, come le grandi reti informatiche. Il cambiamento del clima sta iniziando a chiederci il conto: dopo un lungo periodo in cui l’uomo e la politica hanno ignorato le conseguenze delle azioni antropiche sulla natura, stiamo assistendo a una serie di fenomeni devastanti che coinvolgono aree e fasce di popolazione sempre più larghe. Dispute tradizionalmente risolte dalle diplomazie e sui campi di battaglia si riverberano in molte altre sfere, come le istituzioni e le culture religiose.

Viviamo sempre più in una realtà dove tutto è interconnesso e correlato, e le definizioni di “antropocene” e "noosfera" un tempo confinate alla riflessione e al lessico filosofico, stanno rivelando tutte le proprie implicazioni politiche. Forse è arrivata l'ora che anche il Popolo di Dio batta un colpo…

Maurizio Gentilini

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