Archetipi senza tempo della fiaba

Con il film Il racconto dei racconti il regista Matteo Garrone ha sperimentato la sua vena visionaria, oltre i confini della denuncia sociale di Gomorra e Reality, nell’universo magico e simbolico del genere fantasy. Per la nuova avventura sono stati sceneggiati tre dei cinquanta racconti che compongono il capolavoro del poeta e letterato di corte napoletano Giambattista Basile(1575-1632), Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, pietra miliare del genere della fiaba, di cui conserva gli archetipi, trasmessi dal popolo e dagli artisti di strada nella tradizione orale.

Il legame fra i tre episodi del film si esprime in una consonanza di ambientazioni, figure e forme che rimandano al fantastico fiabesco. In esse il nostro tempo si rispecchia, riconoscendosi nelle inquietudini del barocco, nella sua visione del mondo come teatro e nello smarrimento del senso del limite. Se Basile tratta con leggerezza anche vicende repellenti e agghiaccianti, nel film dominano il tragico e il grottesco, lo scandaglio nell’inconscio dei personaggi, che rivela paure, ossessioni, desideri.

Nell’incipit del film un re si sottopone all’impresa dell’uccisione di un drago per estrarne il cuore, offrendo alla regina con il sacrificio della vita la possibilità di una maternità attesa e vissuta negli anni come potere e possesso. La scoperta dell’amicizia fraterna fra il principe e il figlio dell’ancella, per patto di magia identico al suo, scatenerà in lei verso il ragazzo sospetto e odio. Intensamente allusiva è la scena della corsa ansiosa della regina nel labirinto, che in realtà si è costruita dentro. Il tema dell’amore possessivo è ripreso nell’episodio, ispirato al romanzesco bretone, delle peripezie della principessina Viola, procuratele dalla mente tortuosa e maniacale e dall’egoismo del padre, re inerte, assorto in esperimenti biologici mostruosi.

Non poteva mancare nel film, considerata la sua attualità, il mito di un’eterna giovinezza e bellezza. Ad esserne vittime sono due anziane sorelle, che vivono poveramente. La causa è un bizzarro equivoco, alimentato in loro dal sogno di ricchezze e onori regali. La slealtà dell’una e l’invidia dell’altra distruggeranno la solidarietà di una vita insieme.

Una sceneggiatura abbastanza autonoma rispetto all’originale e una convincente interpretazione costituiscono le basi del film, ma la sua singolarità è rappresentata dal rilievo plastico e coloristico delle immagini. L’uso degli effetti speciali dà risalto a presenze ripugnanti e violente, a paesaggi paurosi ed ostili; l’ozioso mondo cortese è ritratto nel fasto dei costumi e degli ornamenti, mentre i codici del naturalismo e del realismo sono riservati alla rappresentazione degli artisti di strada che intrattengono umili e potenti e a quella di un’arcaica società contadina. Varie sono le citazioni filmiche (Pasolini, Fellini, Comencini) e, fra i pittori, si guarda a Velazquez ed a Goya.

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