Il tema di Lara

La giovane, in Trentino per il volontariato europeo, racconta il suo paese, l’Armenia

Il 24 aprile prossimo la “voce” del ricordo si leverà ancora più forte. C’è un centenario da commemorare: quello del genocidio degli armeni e dei cristiani dell’Impero ottomano, primo “crimine contro l’umanità” del Novecento.

Emozionata e sorridente. Così Lara racconta della bella sensazione che prova quando qualcuno si dimostra interessato al suo Paese, un piccolo Stato del Caucaso meridionale: l’Armenia.

“Il 24 aprile – dice Lara – andiamo sempre al monumento nella capitale, Erevan, per ricordare le vittime del genocidio. Vi depositiamo tanti fiori, che diventano una vera e propria montagna”. L’obiettivo è quello di far conoscere al mondo uno dei capitoli più tragici della storia armena, ancora non riconosciuto da tutti i turchi.

Lara è arrivata in Trentino con il Servizio di Volontariato Europeo circa un anno fa. Qui ha lavorato in casa di riposo, dove è stata accolta calorosamente. All'inizio di aprile rientrerà in Armenia. Ha scelto l’Italia perché, nel suo Paese, all’Università di Lingue ha studiato anche l’italiano.

Racconta di come, la scorsa estate, mentre era in Italia, leggeva spaventata le ultime notizie dal suo Paese: l’Armenia, infatti, nonostante la tregua del 1994 che ha posto fine ad una guerra durata sei anni, è ancora in tensione con l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno Karabakh, una regione oggi indipendente. “Il Nagorno Karabak ha una sua bandiera, un suo presidente, abitudini particolari e una lingua che è una commistione di russo, azerbaigiano ed armeno”, dice Lara.

Proprio nel Nagorno Karabak fa il servizio militare uno dei due fratelli di Lara, il più grande. L'altro fratello è in servizio in Armenia, dove tutti i giovani tra i 18 e i 20 anni sono costretti a fare il servizio militare. “Mio padre – racconta Lara – ha cercato, inutilmente, di far sì che non entrassero nella leva, riuscendo soltanto a posticipare l’ingresso di un paio d’anni”. Tanti genitori, aggiunge, portano i loro figli fuori dall’Armenia: alcuni lo fanno perché pensano che la situazione, in altri Paesi, possa essere economicamente più rosea. Altri, invece, per evitare loro il servizio militare: un suo cugino, ad esempio, si è trasferito con la famiglia negli Stati Uniti, quand’era ancora tredicenne, proprio per questo motivo.

“Alle superiori – prosegue – studiamo a scuola per due o tre anni come usare il fucile, oltre che come fornire primo soccorso. Il corso, obbligatorio, si chiama corso del servizio militare”. L’insegnante di quella materia, ricorda, “era sempre in divisa militare”.

Oggi, spiega Lara, la situazione si è un po’ acquietata, anche rispetto alla scorsa estate. “Non c’è una guerra, ma una situazione di conflitto. Sparano. E io so che, se vado, magari mi ammazzano.” Ma nonostante questa tensione costante, Lara è felice di ritornare a casa: “Siamo un piccolo Paese, dove è molto sentito il tema della patria. Non siamo nazionalisti, ma amiamo il nostro Paese. Nella mia famiglia, almeno, è così.” C’è un altro desiderio che pulsa dentro il cuore di Lara, quello di “esserci”, di essere nella sua Armenia, per aiutare, anche perché lì vive la sua famiglia, ci sono i suoi genitori.

Nonostante i rapporti difficili tra Armenia ed Azerbaigian, Lara non prova odio nei confronti degli azeri. “Quando leggo che è stato ucciso un soldato – dice – provo rabbia, tristezza, ansia; ma non è odio.” Come non c’è odio nei confronti dei turchi, anche se la memoria del genocidio armeno è molto sentita dai più giovani. “Ci sono persone più nazionaliste e altre meno”, osserva Lara. “Ma non è la gente, non è la popolazione che agisce: sono alcuni capi che danno l’ordine”. Proprio per questo, conclude Lara, non si può dire che la colpa è di tutti i turchi.

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