Rinascimento latinoamericano

Dopo le elezioni amministrative del 29 marzo scorso, il Mas (“Movimiento al Socialismo”) del presidente Evo Morales è ancora la prima forza politica del Paese. L’apporto del nuovo corso boliviano alle democrazie recenti nel continente

La Bolivia, simbolo del “rinascimento” latinoamericano rappresentato dalle democrazie recenti? Sì, non è per nulla esagerato affermarlo. E quale è la notizia più bella e il messaggio vero che ci consegna il nuovo corso boliviano del presidente Evo Morales che inizia in questi giorni il suo terzo e ultimo mandato dopo il trionfo elettorale di qualche settimana fa? Certo, la crescita economica, imprescindibile. E la diminuzione della disoccupazione che è scesa a percentuali impensabili e segna una tendenza importantissima verso il diritto sostanziale al lavoro. Ma, a nostro avviso, il dato più bello ed eclatante che emerge è che in Bolivia si vanno gradatamente riducendo le diseguaglianze sociali, le sperequazioni di reddito e di conseguenza lo status di cittadinanza.

Cosa significa questo? Non solo che si sta attenuando la disparità tra le due Bolivie, quella degli indios delle Ande e quella dei discendenti europei delle pianure –uno iato che era e resta profondo, socialmente e culturalmente, tale da paventare fino a qualche tempo fa una possibile secessione delle aree più ricche. Significa soprattutto che sono gli indios – che costituiscono la netta maggioranza della popolazione – che prendono consapevolezza del proprio ruolo, della propria identità e del proprio destino, e dal punto di vista antropologico della loro personalità collettiva di non sudditanza e subalternità al “gringo”, all’uomo bianco, alla cultura della dominazione introiettata per secoli profondamente dal colonialismo sin dai tempi della Conquista.

E l’esempio più evidente di questa nuova consapevolezza è impersonato da Evo Morales, il presidente indio, un uomo che ha conosciuto la dura vita del contadino e del coltivatore di coca per sopravvivere: “Ero un contadino, un cocalero, coltivavo le foglie di coca e si diceva che i contadini servivano solo per votare, mai per governare”. Ecco la novità boliviana, una rivoluzione copernicana che parte dall’interiorità dei campesinos e degli indios! A tal punto che se fino a qualche anno fa era il Fondo monetario internazionale (un organismo che da quelle parti fa venire l’orticaria solo a pronunciarne il nome) a dettare legge e impartire lezioni di “aggiustamenti strutturali” (taglio alle esigue spese sociali), oggi è Christine Lagarde in persona, presidente dell’FMI, a dire chiaramente che la Bolivia è un modello che altri dovrebbero seguire per il consolidamento economico e la coesione sociale, insomma, per un acclarato sviluppo.

La Bolivia era considerata un Paese in cui i presidenti duravano pochi mesi per poi essere cacciati a furor di popolo (uno degli ultimi è scappato da una finestra del palazzo presidenziale per evitare la folla inferocita) o con cruenti colpi di stato militari. In questo autunno il suo popolo ha riconfermato per il terzo e ultimo mandato (è stato eletto per la prima volta nel 2005) un presidente che persino nelle aree orientali che gli erano ostili ha raccolto vasti consensi e che invitato anche nelle università americane non si stanca di ripetere il suo leitmotiv, che per lui non è un mero slogan: “Nelle zone più povere del pianeta muoiono di fame milioni di essere umani e allo stesso tempo, nella parte più ricca della terra, si spendono tanti soldi per combattere l’obesità e si sprecano tonnellate di alimenti”.

E’ una spinta alla denuncia delle storture sociali e uno spirito utopico per una società più giusta che Evo Morales applica nel concreto e quotidiano governo della Bolivia. Un diverso modo anche di esprimere la concezione della politica: l’élite bianca che ha dominato per decenni a La Paz saccheggiava il paese per i propri interessi e secondo quanto esprime Morales “per loro la politica era la scienza di come utilizzare il popolo, per noi la politica è la scienza di servire il popolo”.

Il vasto consenso ottenuto e la popolarità di cui gode presso gli strati sociali più disagiati e finora emarginati attestano che non sono vuote parole. Il miglioramento delle condizioni materiali di vita di tanti e la maggiore consapevolezza della propria dignità e dei propri diritti fondamentali sono lì – netti, nitidi – a dimostrarlo.

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