Contro la pena di morte

Il 2015 è stato l’anno con più esecuzioni nell’ultimo quarto di secolo

Nel pomeriggio di lunedì 10 ottobre, in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, il gruppo di Amnesty International di Trento ha organizzato un flash mob per le vie del centro.

Quest’anno la Giornata mondiale contro la pena di morte è stata dedicata all’uso della pena capitale per contrastare i reati di terrorismo. Lo scorso anno almeno 20 paesi hanno emesso o eseguito condanne a morte per reati di terrorismo: Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Camerun, Ciad, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, India, Iran, Iraq, Kuwait, Libano, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Stati Uniti d’America, Sudan e Tunisia. “Questo aumentato uso della pena di morte è una risposta viziata ai reati di terrorismo ed evidenzia l’errore fondamentale dei governi: non c’è alcuna prova, infatti, che nei confronti di reati violenti la pena di morte abbia un effetto deterrente superiore rispetto ad altre sanzioni. Si tratta di un segnale di debolezza e non di forza” – ha dichiarato James Lynch, vicedirettore dei Programmi globali di Amnesty International.

Nonostante continui la tendenza all’aumento del numero dei paesi abolizionisti (attualmente sono 103 i paesi abolizionisti per tutti i reati), il 2015 è stato l’anno con più esecuzioni nell’ultimo quarto di secolo. Tre i paesi in cima alla lista: Iran, Pakistan e Arabia Saudita. Nel 2015 sono stati messi a morte almeno 1.634 prigionieri, oltre il doppio rispetto al 2014.

Gli attivisti di Amnesty International hanno sensibilizzato i passanti sul tema della pena di morte e li hanno invitati a firmare l’appello in favore di Saman Naseem. Saman è un ragazzo iraniano di etnia curda condannato a morte per aver partecipato ad attività armate contro lo stato, reati commessi quando era ancora minorenne (per aderire: www.amnesty.it). La condanna a morte di minorenni al momento del reato è vietata dalle convenzioni internazionali.

Saman avrebbe dovuto essere impiccato nel febbraio 2015. La campagna di raccolta firme di Amnesty International lo ha salvato una prima volta dall’esecuzione e la Corte suprema ha deciso di sottoporlo a un nuovo processo. Il primo processo è stato fortemente iniquo perché la corte ha utilizzato la sua “confessione” estorta con la tortura come prova contro di lui.

Saman Naseem potrebbe essere nuovamente condannato a morte.

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