Il sogno del barbone

“Sui sogni puoi lavorarci! i sogni rappresentano le nostre speranze addormentate e i desideri inespressi…”

– Buon giorno. Avrei bisogno di un suo racconto per la mia rivista! — chiede il giornalista all’uomo sdraiato sulla panchina del parco quasi deserto nel freddo del mattino.

– Rivista? — fa l’altro, girando di poco la faccia, contornata da una barba bianca mal curata.

– Sì, il settimanale che ho fondato… Non ricorda?

– In questi tempi ricordo poco e dimentico molto…

– Lei… è stato il mio professore di lettere, al liceo, – mormora il nuovo arrivato cercando un tono cordiale. – L’ho cercata in giro perché volevo qualche cosa di suo… un pezzo originale… da far leggere a tanti, per condividere oltre che per imparare. Era così bravo, professore: riusciva a far tacere perfino Giacomo il ribelle e a destare interessi letterari in Liana.

– Diamoci del tu. Che cosa vuoi mai che ti dia! Adesso vivo di espedienti… – mormora l’ex-professore, mettendosi con fatica a sedere: — Mi sistemo nei parchi quando la stagione è buona, se fa brutto tempo cerco riparo nella stazione o sotto i portici. Però, non sono ancora arrivato a chiedere l’elemosina.

– Siediti qua vicino, – riprende a dire con una espressione tenera: – O hai paura di screditarti?

– Non sono uno che guarda alle apparenze! Sto attento ai valori… alla verità. Per questo ti ho cercato, per ascoltare un tuo racconto… Avevi un bel modo di porre le cose…

– Come ti chiami?

– Pietro.

– Raccogli anche sogni, Pietro? per il tuo giornale.

– Sogni?

– Sui sogni puoi lavorarci! i sogni rappresentano le nostre speranze addormentate e i desideri inespressi… – continua il buon uomo: – Le stelle e l’aria quieta mi hanno convinto anche stanotte di resistere all’aperto su questa panchina, che col buio perde il colore, ma che come vedi è di un rosso acceso. Un cane si è accucciato qui accanto, poverino anche lui, l’ha fatto altre volte, e ci siamo addormentati insieme. Nel sogno di stanotte, ecco, mi si è presentato qui davanti Andrea, mio figlio, barba, cappellaccio, guanti, zaino… Debbo subito confessarti che noi due abbiamo dei peccati, degli errori, chiamali come vuoi, io bevo e finisco al Pronto Soccorso, lui esagera con le pasticche e capita al Pronto Soccorso: è anche successo che ci siamo trovati su due lettini accostati, con la infermiera che ci domanda ma voi due siete parenti?

– Nel sogno di stanotte, dunque, — riprende il senzatetto scrutando la faccia di Pietro, come nel ricordare qualche cosa: – ammesso che sia un sogno e non invece un fatto reale, Andrea mi si avvicina, mi offre la sua coperta per ripararmi, ha un fiatare acido ma buono come di frutta fermentata e la voce tenera quanto la notte… e si mette a parlare di Lina, la sua ragazza, che da un mese lui assiste quasi notte e giorno in ospedale.

“Papà, lo sai che a me non costa alcuna fatica assisterla, perché tra di noi c’è amore… Ma ecco la sorpresa! Qualche giorno fa Lina me la trovo già pronta e vestita sulla porta della stanza dell’ospedale in compagnia della madre. Subito mi spiega che i medici le hanno offerto una vacanza premio di qualche giorno. Così ci mettiamo a girare per le strade, noi due soli, la città sembra che rida dentro un’aria di festa, qualcuno ci saluta, il male pare ormai dietro le spalle, i vigili urbani stanno quieti, le donne sempre più belle ed allegre, i negozi ci invitano nella loro abbondanza prenatalizia. Probabilmente ad attrarci verso quell’oratorio è stata la musica (un mix di folk, cori della montagna, melodie): oltre il cancello, nel cortile interno, una banda di ragazzini sono intenti a giocare, le palle strisciano, sorvolano, si proiettano, sventolano bandierine multicolori, grida e risate compongono il coro della felicità.

“Sul fondo una costruzione bassa e gialla ci incuriosisce. Entriamo. Arriviamo in una sala circolare a gradoni, tutto un giro di persone grandi e piccole che pregano ed ascoltano; l'illuminazione mostra una intensità ed una oscillazione a partire dal centro dell’arena, dove un bambino si guarda intorno, sembra sorridere, inviare saluti, tracciare segni di pace. Lo strano, poi, è che qua dentro non si perde nulla, né le voci né i sussurri, né le preghiere né le storie. Così ci arriva: <Divenuto figlio di Dio l’uomo è in grado di realizzare il suo compito di creatura e rivolgersi a Dio chiamandolo Padre>. <Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una gran luce>. <Il segreto della nascita del Divino nell'umano, l'Incarnazione>. <Non basterebbero tutti i libri della terra per capire il mistero dell'Incarnazione.>. Al centro dell'arena il bambino accoglie quello che gli chiediamo, ci sentiamo capiti e protetti. Finalmente un mondo diverso!

“Ecco,padre, quello che ho appreso dal piccolo, l’ho voluto portare a te e ai tuoi amici di strada”.

L’ex professore allunga una mano a Pietro: – Prenditi quello che ti serve del sogno, se proprio lo vuoi chiamare sogno.

Sergio Artini

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