L’omaggio al grande Luzi

E’ stato uno dei maggiori poeti del nostro Novecento ed una grande voce della poesia religiosa contemporanea. Nel centenario della nascita Mario Luzi (Firenze, 1914-2004) è stato ricordato recentemente all’Associazione culturale “Rosmini” di Trento da uno dei suoi studiosi più appassionati Giuseppe Colangelo, accompagnato dalle letture di Alfonso Masi.

La poesia di Luzi, ha ricordato Colangelo, iniziò negli anni Trenta, nel periodo ermetico, quando i giovani cercavano di sfuggire alla cupa atmosfera del fascismo con la passione per la grande letteratura (e i maestri in versi erano in quegli anni Ungaretti e Montale!). Nella fertile culla letteraria fiorentina, dove i compagni di viaggio del poeta erano Macrì, Bigongiari, Carlo Bo, il nostro esordì nel 1935 con La barca: “Amici ci aspetta una barca e dondola / nella luce ove il cielo s'inarca / e tocca il mare, / volano creature pazze ad amare / il viso d'Iddio caldo di speranza”, quasi un vascello dantesco trasposto nella modernità, sotto lo sguardo divino.

Nel 1940 seguì Avvento notturno, che consolidò Luzi come una delle voci maggiori della giovane poesia italiana. Il suo era un confronto con la vita e le speranze deluse ma non ancora svuotate dei giovani, nella ricerca di una purezza della parola e della letteratura che aiutasse a superare i drammatici avvenimenti del tempo; poi lo stile del poeta ebbe un'evoluzione che lo portò all'uso di registri linguistici più ampi e variegati – come nei volumi Nel magma (1963) e Su fondamenti invisibili (1971) – e ai testi teatrali, tra cui il Libro di Ipazia del 1978. Tra le opere più significative dell'ultimo periodo del suo canto, in anni in cui Luzi fece sentire spesso la sua voce per affermare le ragioni della cultura contro la banalità contemporanea, troviamo la Via Crucis composta, nonostante l'esitazione iniziale, per la Pasqua del 1999 su invito di Giovanni Paolo II. “Padre mio – dice Gesù rivolgendosi al padre – mi sono affezionato alla terra / quanto non avrei creduto. / E' bella e terribile la terra./…/ Mi sono affezionato alle sue strade / mi sono divenuti cari i poggi e gli uliveti, / le vigne, perfino i deserti”. Un Cristo umanissimo, che prima della sofferenza del Calvario rimpiange di dover lasciare la terra e la sua drammatica bellezza.

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