Nel nostro limite la nostra umanità

Il filosofo argentino: “Dobbiamo essere noi a colonizzare la tecnologia, mettendola al servizio della vita umana e della cultura”

"Viviamo in un momento storico in cui pensiamo di sapere già tutto e di conoscere il senso di ogni cosa, ma non è così: in un mondo in rapida evoluzione, occorre dare ai giovani il tempo di formarsi e dedicarci ad una resistenza che, riconoscendo la complessità come elemento costitutivo del nostro essere umani, abbia il sapore di una ricerca gioiosa". Non è possibile vivere senza utopie, ma dobbiamo avere il coraggio di non cedere alle barbarie. Lo ha detto Miguel Benasayag, ospite al Muse domenica 17 gennaio per inaugurare il ciclo di incontri promossi nell'ambito del progetto "Utopia500" ideato dalla casa editrice Il Margine di Trento nel decennale di attività.

Tanta era la curiosità suscitata da "Il cervello aumentato, l'uomo diminuito" (Erickson, 2016), l'ultimo libro dello psicoanalista e filosofo argentino – autore del famoso "L'epoca delle passioni tristi" (Feltrinelli, 2005) -, presentato dialogando con Riccardo Mazzeo e con il pubblico, che è stato possibile seguire l'incontro anche in video-conferenza in una sala subito riempita, lasciando molti in piedi.

La mattinata si è aperta con il gustoso prologo che, dopo l'intervento di Francesco Ghia, ha visto numerosi rappresentanti delle istituzioni – tra i quali il sindaco Alessandro Andreatta e il presidente della Provincia Ugo Rossi -, alternarsi nella lettura di brani di "Utopia", terminando con la riflessione di Grazia Villa (associazione Rosa Bianca) su "Donne e uomini: l'utopia dell'intendersi".

Lo storico Paolo Prodi considera "Utopia" una delle "opere fondamentali per comprendere l’Homo Europaeus, oggi in crisi", una crisi che per Benasayag è ravvisabile nella tentazione di onnipotenza che anima l'uomo contemporaneo, sedotto dalle sirene di una tecnologia alla quale delega un numero sempre più ampio di funzioni, trascurando i pericoli che ciò comporta.

Con il suo libro, lo psicoanalista – che è anche biologo – pone al centro dell'analisi la riflessione sulle conseguenze di quella che è una vera e propria rivoluzione antropologica: la possibilità di manipolare il corpo umano grazie alle conoscenze sulla chimica e sulla fisiologia del cervello, un progresso che però determina la dispersione dell'"io", diminuito nella libertà e unicità di ogni atto. Come creare allora uno spazio di resistenza in un mondo in cui l'uomo, nel suo tentativo di superare il limite corporeo che gli impedisce di essere Dio, rischia di diventare vuoto guscio assoggettato ad una tecnica che atrofizza le sue capacità?

"Oggi abitiamo un corpo senza interiorità, lo alleniamo nelle palestre, mirando al benessere e pensiamo di sapere come funziona, intanto la tecnica dice che è possibile riprodurre all'esterno tutte le informazioni contenute in esso e nel cervello – ha spiegato Benasayag -, ma, anche se l'ibridazione tra vivente e apparato digitale è una realtà, e le capacità cerebrali possono essere accresciute a dismisura, dobbiamo essere noi a colonizzare la tecnologia, mettendola al servizio della vita umana e della cultura, rivendicando l'utopia di una vita umana contro l'anti-utopia del cervello aumentato che ci illude di poter prevedere ogni cosa, eliminare ogni negatività, vincere la morte e in nome di questo legittima violenza e disumanità".

Se lo slancio utopico è ciò che spinge a migliorare il modo in cui viviamo, il rischio – come ha sottolineato Mazzeo -, è di dimenticare che imperfezione e morte sono condizioni insuperabili dell'esistenza umana e che in un'epoca contraddistinta dall'individualismo occorre tornare a occuparsi delle sorti della società.

Una deriva distopica ben individuata da Benasayag che, lungi da posizioni conservatrici o tecnofobe, contrappone all'alterazione, irreversibile, del soggetto, l'alternativa umanistica di chi non si lascia incantare dal mito dell'autonomia: "Fin dall'epoca delle tribù, l'uomo opera in rete, legato agli altri da un rapporto di dipendenza; ora la nuova rete è intrappolata in macchine che funzionano senza limiti di tempo e nell'ambito di una visione macroeconomica in cui conta la quantità e non la qualità, condannandoci ad un individualismo nichilista senza senso. Subiamo il fascino di questa azzardata fuga in avanti, dimenticando che condizione di ogni senso e possibilità è il limite e proprio ad esso dobbiamo dedicare la nostra riflessione".

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