Io e te

Per Mohammed la musica non è solo una esibizione, sta dentro alla radice dell’uomo

Si conoscono da poco più di un anno. Abitualmente mendicano nella zona del Duomo, in posti vicini tra loro due in modo da potersi guardare mentre chiedono l’elemosina. Si sono parlati non tante volte, nella loro strana lingua fatta di qualche vocabolo italiano, spizzichi di slavo e di tedesco, molte smorfie.

Lei, Dranka, bosniaca sulla trentina, è bella bella, con qualche imperfezione al viso che subito non si saprebbe qualificare, per lo più vestiti malandati, una espressione triste e quel figlio adolescente, che ogni tanto compare sulla scena con una sigaretta accesa in bocca, ripreso in più di un’occasione dai vigili urbani. Da ultimo l’elemosina lei la chiede stando in piedi davanti al portale della facciata della cattedrale, alle prese con qualcuna delle colonne che compongono il fascio a tutto sesto dell’entrata: dopo ogni ora ha bisogno di andare dentro per una sosta senza devozione sotto il primo altare della navata nord, quello di Sant’Antonio col Bambino, e ne riesce come ristorata.

Lui, Mohammed, da buon sciita fervente, non vorrebbe mai stare davanti ad una chiesa (e tanto meno entrarvi, ha già il suo costante impegno di evitare in città cappelle, fontane con simboli religiosi, crocifissi che ce ne sono tanti), ha scelto per la questua prima le scalinate esterne dell’Università e da ultimo il portale del palazzo della Filarmonica – senza contare che in Iran è stato un valente suonatore ed insegnante di tar – e trascorre il tempo ascoltando le prove che gli giungono dagli allievi, di cui coglie impurità ed errori facendo grosse smorfie con il suo viso barbuto da profeta: per Mohammed la musica non è solo una esibizione, sta dentro alla radice dell’uomo, quando non contano le mode ma l’essere. Al mattino, i due mendicanti sembrano darsi un appuntamento, che partendo dalla ex sede del giornale L’Adige, ai tempi di Flaminio Piccoli, li porterà nelle loro postazioni, dopo avere superato lungo via Verdi siti universitari, edifici, la piazzetta, bar e ristoranti di pregio, rivendite. Un prete che lavora in zona è tollerante con Dranka, un giorno le ha perfino portato un pacco ed uno scialle per proteggerla dal vento.

Quel giovedì sera si scatena sulla città un temporale impetuoso. Mohammed vorrebbe mettersi al riparo, ma lei non vuole muoversi da quel portale, non c’è che aspettare: “Io e te oggi dovevamo stare a casa!”, vorrebbe gridarle il persiano. Un finimondo di acqua e di fulmini. La via quasi deserta sembra trasformata in un corso d’acqua. Ecco, una saetta illumina tutta la facciata della chiesa, quando arriva il tuono Dranka è già in terra con le braccia che annaspano e la testa tirata all’indietro. Chiesa o non chiesa lui corre lì, invocando aiuto, alcune persone già sollevano il corpo della donna e la portano dentro il bar, “chiamiamo l’autolettiga, visto che è ancora viva”. Ma si è subito rianimata. Vuole bere dell’acqua, dice qualcosa, desidera andare a casa: “Vieni, pure tu! Che mi fai compagnia ”. Un cliente si offre con la propria auto. Così, Mohammed, scopre che la donna abita in una cantina desolata piena di fiori finti e di gatti veri: e si prepara ad assisterla.

Dopo tre giorni sono già tornati alla questua nei soliti posti. La notorietà dell’avventura col fulmine pare abbia incrementato le offerte alla donna. Si è anche fatto vivo il barista, che le propone un lavoro quale lavapiatti nel retro. E per Mohammed la cura degli orti dei canonici: libertà! là non ci sono simboli e segni religiosi, salvo il suono delle campane del Duomo, ma quello arriva dappertutto, uno è libero di rispondere.

Sergio Artini

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