Il ruolo, non solo simbolico, dell’Oratorio del Duomo in via Madruzzo a Trento: nel racconto di Sergio Artini il ricordo di personaggi eminenti operanti in questo ambito cittadino. Un amarcord suggestivo.
Arrivato agli antichi Tre Portoni di pietra calcarea sormontati dalle sfere ornamentali rossoscure, proprio sull’entrata di via cardinale Cristoforo Madruzzo, Rocco si imbatte nell’amico Dino che non vede da tanto tempo. Sono diretti al Teatro dell’Oratorio del Duomo per partecipare ad una conferenza e ad entrambi vengono alla memoria, inevitabilmente, quegli amici in comune e quei personaggi dei loro mitici anni cinquanta sessanta, sembra quasi di sentirseli attaccati. Del resto la storia è fatta di personaggi e di nomi e le memorie ricompongono la pienezza della vita. Ma non è come con le costruzioni e i monumenti, che durano fissi per conto loro; con i nomi e i ricordi, ogni tanto, occorre richiamarli per farli vivere o quanto meno scriverne, anche su un giornale. All’Oratorio in quegli anni Rocco ha incontrato persone cui era facile voler bene, in un clima amico, anche per questo è riuscito a vincere difficoltà e rovesci: il merito spetta proprio a quell’età – tra i tredici e i sedici anni – in grado di donare affettività e speranze.
Poco più avanti, in quella strada in lieve discesa, che sembra andare incontro alle montagne di occidente, sbocca il vicolo Madruzzo: come non ricordare Fabio? politico, intellettuale, educatore e tutta la sua famiglia simpatica e chiassosa, pronta a partecipare alle iniziative culturali cittadine.
Poi, se ci si mette a guardare attraverso i cancelli e i passaggi sulla destra della strada, da quella parte si scorge via del Travai; pare quasi che di lì possano ricomparire i due fratelli, Giorgio, che ha fatto il giornalista, il Presidente della Provincia, il segretario di partito e Franco, l’illuminato insegnante del Liceo Galilei, inoltre sembrano ricomparire, in quella che è stata la loro via, anche Marco, docente di Fisica all’Università di Trento e Mario dirigente dell’Oratorio del Duomo.
Comincia proprio Dino (che è stato biologo e medico, prima di diventare un cultore della neonatologia) con un repertorio partecipato di nomi, a volte bastano i nomi per sollecitare ricordi. E poi, far riemergere un amico è ridargli presenza: Remo, il maestro animatore dell’Oratorio; Vigilio, il verduriere che trasformava il proprio negozio, lì vicino in via Santa Croce, in un’anticamera dell’Oratorio; Sergio, che è passato dall’officina paterna delle biciclette ai più arditi progetti costruttivi; Lino, ingegnere e ricercatore in Fisica, con la vocazione atavica dei panettieri, oltre a quella più recente di progettista di viadotti e di autostrade; la simpatica dinastia dei funzionari e dei giuristi Luigi, Enrico, Paolo, Pierluigi, Antonio e gli altri… che vivevano in via Santa Croce e nella grande villa gialla di corso Rosmini; il loro amico Mario, che conosceva altrettanto bene la terra e il cielo; Renzo, letterato e scopritore di talenti letterari, che ha insegnato a scuola e fuori scuola.
Adesso subentra Rocco con i ricordi, proponendo una serie di altri nomi, che ritornano sollecitati dalla nostalgia attorno a quel tratto di strada del centro storico, che adesso sta percorrendo con l’amico Dino ritrovato e che fa parte di una mappa cittadina che vale la pena di coltivare; è come curiosare su un giornale scritto nella loro anima. Serve qualche citazione: tra i colleghi medici Giampaolo primario ospedaliero, Gian Antonio impegnato professionista sul territorio, Mario famoso dermatologo, Stefano, che riesce sempre ad essere curante e amico; in via del Torrione il genetista Luigi divenuto famoso e l’esuberante Adriano, umanista e docente al Liceo Classico Prati; in via Esterle Luciano fisico e ricercatore; vicino alla chiesa del Santissimo Giampaolo, già funzionario in Provincia, estroso giornalista e uomo di cultura; in una via un poco più in su Michele, focoso principe del Foro; poi, Ettore, un tempo – che sembra ieri – corrispondente da Vienna del Corriere della Sera, che ha informato ed educato i lettori, oltre che essere stato per alcuni amico del cervello e del cuore; Franco giornalista al di sopra di ogni classificazione e giudizio. Per non parlare di Flaminio, fondatore de “l’Adige” ed ispiratore di personaggi letterati e politici, che hanno intrapreso il loro curricolo a partire dalla vecchia sede del giornale. Qualcuno non è più tra i vivi, però i nomi e i ricordi permangono. Muoiono le persone, non gli spiriti. E ricordare è un ripresentare storie, anche se non possono venir rivissute.
La città – basta compiere il tragitto qui intorno – oltre che essere piena di nomi e di personaggi, è connotata dalle sedi e dagli edifici della storia locale. Il suggestivo Arcivescovado, le mura merlate, le antiche chiese romaniche, le dimore nobiliari. Il Liceo Prati, qui a due passi, fucina e cenacolo di allievi del sapere. Il vecchio complesso che fu l’ospedale di Santa Chiara. La Libreria Ancora degli Artigianelli con Simone, che ha aggregato in sintonia scrittori e lettori. La vecchia sede di Vita Trentina (rivista letta per monti e per valli) dove tra gli altri sono emersi Giulio, Vittorio, Agostino, Alberto, Paolo, Diego… per non parlare dei giornalisti che la fanno vivere adesso.
Ecco l’Oratorio del Duomo, dove i due amici Rocco e Dino sono già arrivati: non si tratta più del vecchio storico edificio, il campo da calcio è sparito, non esistono ormai nemmeno l’ampia scalinata esterna in granito e il largo terrazzo al coperto. Ma permane la memoria magica delle presenze, preti, educatori, ragazzi e giovanotti, grida, canti, atmosfere, sentore di preghiere dalla cappella. Ricordare i nomi significa, dunque, agganciare storie di vita, ricostruire muri e tramiti. Tornare indietro nei ricordi vuol anche dire sapersi preparare al futuro. Ma, intanto, è ritrovarsi in buona compagnia, in certo qual modo sentirsi protetti da simpatiche presenze. Non è solo un riapparire di nomi, bensì un ripresentarsi spontaneo di amici.
Poi, occorre immaginare di proseguire su questa via Madruzzo, come facendo concorrenza alle camminate dei prelati al tempo del Concilio, fiancheggiare gli edifici scolastici, attraversare il cimitero e la ferrovia, per arrivare là in fondo al Palazzo delle Albere dove ci si ricongiunge con la storia, quella delle leggi e dei trattati, quella dei divertimenti e delle passioni. Un palazzo che rinasce non dimentica di tirarsi dietro i dolori, le risate, gli avvenimenti, i ricordi di quando è stato reggia e fienile, cenacolo e dormitorio. E ripercorrere una via può voler dire che si scopre di essere stati amati e di venire ancora ricordati dopo tanti anni. Questo è anche un modo di ‘vincere’ la morte e di coltivare la vita. E chi legge trova la maniera di aiutare quell’altro a scriverne.