I tre “re” di Armando

Stringe felice e sorridente in mano una minuscola fisarmonica rossa – il regalo più bello fra tutti quelli ricevuti – e prova a cavarne una nota…

Maggio 1953, festa della Prima Comunione

Armandino aspettava la sua Prima Comunione con l’ansia di chi attende Babbo Natale. No, non per i regali in sé, ma per essere finalmente al centro dell’attenzione di tutta la famiglia. È una famiglia numerosa la sua e pregusta da almeno un paio di mesi la messa in chiesa con la lenta processione dei comunicandi verso l’altare e si è ben immaginato in testa, secondo dopo secondo, l’attimo in cui si sarebbe accostato a quella che il parroco aveva chiamato la “Sacra Mensa”.

Anche i regali, però, hanno avuto la loro bella importanza nell’alimentare il desiderio della festa. «Vai a chiamare tuo fratello piccolo, dobbiamo tagliare la torta!» ordina mamma Armida a Silvietto, i cui occhi luccicano al pensiero di quella soffice e candida glassa dolcissima che copre il pan di spagna bello tondo, ornata sull’orlo da palline color argento. «Vado subito!»

Ma dell’Armandino, in casa, non c’è traccia. Silvio lo cerca di camera da letto, fa il giro del soggiorno pieno zeppo di amici e parenti, scende anche in cortile… Niente da fare, il festeggiato pare essersi dissolto nel nulla.

«Io l’ho visto che andava di sopra!» piagnucola un cuginetto nel vedere i grandi coi volti seri e preoccupati.

Il ragazzo sale le scale tre gradini alla volta, arriva davanti alla porta della soffitta… è aperta!… la apre piano piano e sente un suono strano. Un soffio sottovoce come quando si respira nel sacchetto di carta per il pane… un ronzio altrettanto bizzarro come di un suono che non vuol uscire da dove s’è nascosto. Silvio fa alcuni passi nel sottotetto, gira attorno a un vecchio comò impolverato e lì, per terra accanto alla finestrella… «Ma cosa ci fai quassù tutto solo, Armando?»

Il bimbo non risponde: stringe felice e sorridente in mano una minuscola fisarmonica rossa – evidentemente il regalo più bello fra tutti quelli ricevuti – e sta provando a far funzionare quel piccolo mantice per cavarne finalmente una nota… che finalmente arriva improvvisa a illuminare la penombra dell’antana

È un bel RE pulito, maestoso e solenne.

Primavera 1967, studi di Roma della RCA (Radio Corporation of America)

Armando non le conta nemmeno più le mattine passate inutilmente nella sala d’aspetto della RCA.

A lui, appassionato autodidatta di musica con alle spalle un diploma di ragioneria sognato ma mai raggiunto e due anni di naja, Roma è la “mecca” della musica, l’unico luogo insomma in cui può realizzare il sogno di fare della sua passione una vera professione. “E allora vai all’RCA» gli ha detto qualcuno, «compila la scheda che ti daranno e aspetta che dalle sale di incisione qualche maestro abbia bisogno di uno come te!”

E lui eccolo lì.

Sulla scheda ha scritto gli strumenti che sa suonare: naturalmente la chitarra, poi il pianoforte e il basso… barando un po’ ha aggiunto anche l’organo… Quest’ultimo però lo sa suonare solo sulla tastiera, mentre la pedaliera che sta di sotto, be’, quella non la sa ancora usare… comunque, ha pensato, l’organo mi fa fare la figura di un bravo musicista e poi alla RCA non chiameranno mai uno che sa suonare l’organo di chiesa!

«Il maestro Bacalov cerca un organista» strilla invece quel giorno un tipo entrando di corsa nella sala d’attesa. Nessuno dei dieci giovani musicisti seduti ad aspettare la fortuna risponde, solo Armando alza un dito e… «Io lo saprei suonare…» «Forza, su dai! Vieni, non perdere altro tempo!»

La sfortuna vuole che il pezzo di Bacalov cominci proprio con otto note suonate solo coi piedi sulla pedaliera dello strumento! Armando ha un attimo di smarrimento: lui la pedaliera a occhi chiusi non l’ha mai suonata, però…

«Allora, dov’è questo organista?» urla Bacalov non vedendo nessuno all’organo.

«Sono qui, maestro… sono in ginocchio!» si sente una vocina che viene da sotto lo strumento.

Il maestro fa una smorfia come a dire “E vabbè, vediamo cosa succede”, sbuffa, alza le braccia per dare il segnale all’orchestra e… Quel giorno il giovane Armando sperimenta e inventa un modo nuovo di suonare l’organo: accucciato sopra la pedaliera, con le mani schiaccia i pedali secondo l’ordine del pentagramma steso per terra… e la musica che ne esce – la prima nota è un bel RE poderoso e dolce allo stesso tempo – soddisfa finalmente l’esigente maestro argentino e per Armando ha inizio una meravigliosa carriera nel mondo poliedrico e variopinto della musica.

2011, reparto di cure intensive del Santa Chiara di Trento

Buio. Nero totale nel silenzio profumato di disinfettante. Ad Armando sembra d’essere sott’acqua con le orecchie ovattate e il respiro che stranamente corre a rubare il poco ossigeno intrappolato nell’acqua là sotto. Sente lontanissime le solite voci che mormorano come se non volessero disturbarlo… “Urlate!” supplica invece in cuor suo Armando, “Strillate così vi sento! Così vi posso rispondere!” Ma le sue labbra sono tappate e dalla gola immobile non esce alcun suono. A furia di ascoltarle, quelle voci, le ha anche riconosciute, le ha incasellate nella sua fragile memoria: la più frequente, dolce e suadente, è la voce di Cristina che continua a discorrere con lui come se il suo Armando potesse sentirla e risponderle. “Continua Cristina, continua a parlarmi ti prego! Dammi tempo però, abbi pazienza mi raccomando, vedrai che prima o poi troverò la forza per risponderti!” Poi ha riconosciuto Maddalena, la figlia maggiore, con la sua voce squillante e armoniosa: sembra la musica di uno dei concerti per viola d’amore di Vivaldi! E poi il suo Matteo e il figlio più piccolo… Andrea! Sono tutti là, vicini a lui che naviga in quel buio rotto solo dalle note di un mondo sempre lontano e inafferrabile. Poi all’improvviso tutto cambia: ad Armando pare che quei suoni smorzati e lontani entrino a cascata nelle sue orecchie, gli riempiano il cervello di accordi, di melodie, di belle musiche! Le riconosce subito, perché il brutto male l’ha escluso dal mondo, è vero, ma non gli ha portato via del tutto la memoria! Quelle note sono le altre figlie sue, sono le “sue” musiche, quelle che ha scritto in anni e anni di passione e di lavoro… Che bel pensiero hai avuto, Cristina! Grazie piccola mia… Grazie tesori miei…”

Di lì a un po’ – ma Armando non ha il senso del tempo e potrebbero essere passati anche giorni e giorni – la musica nelle sue orecchie si placa e scende nuovamente il silenzio. “Anche il silenzio è una musica…” quante volte da maestro l’ha detto ai suoi allievi! E da quel silenzio melodioso emerge come una nota neonata un RE amabile, quasi timido che però prende coraggio e forza e sbuca in un RE prepotente, forte, energico… che piglia sicuro Armando per mano, gliela stringe forte e lo obbliga ad aprire gli occhi.

Finalmente s’è svegliato!

(Un caloroso grazie al maestro Armando Franceschini e alla sua bella famiglia per avermi concesso il privilegio di raccontare tre momenti decisivi della sua vita di musicista e di uomo, sperando così di aiutare sia i giovani che vogliono entrare nel mondo della musica, sia i meno giovani che si trovano ahimè intrappolati in qualche malattia)

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