L’artigiano del vino: i segreti di Eugenio Rosi, viticoltore di Calliano

Eugenio Rosi, premiato per il Marzemino Poiema, sottolinea il rispetto e il valore della terra: “Non dobbiamo mai forzare, né in vigneto né in cantina”

Calliano, gennaio 2019 Dalla terra alla terra. La prima è quella argillosa, lambita nei secoli dalle acque dell’Adige, unica per caratterizzare questo vitigno speciale. La seconda, in una cantina con venti scalini in discesa, custodisce le botti dove si affina il miglior vino trentino del 2018: il Poiema, un marzemino creato nel 2000 da Eugenio Rosi, “viticoltore artigiano”, come si definisce quest’enologo formatosi a San Michele e staccatosi dal vino industriale per battere la strada dell’artigianalità: “Per me significa non forzare mai, né in vigneto né in cantina”.

Assieme alla moglie Tamara – partecipe dell’impresa tanto da disegnare l’etichetta vincente – , Rosi ci spiega la sua personale visione della vite (e forse anche della vita) nella sera in cui il presidente dell’Associazione Sommelier del Trentino, Mariano Francesconi, gli consegna l’attestato del premio voluto dall’AIS nazionale per le cantine capaci di valorizzare il territorio.

“E’ una soddisfazione veder riconosciuto a livello italiano un percorso personale che dura da trent’anni – confida Eugenio — Nel tempo abbiamo cercato di esprimere il meglio del marzemino, il nostro vitigno che pur essendo molto longevo, importato già a fine del 1400 dai veneti, è stato considerato a lungo come un vino leggero, di scarsa personalità. Con Poiema abbiamo dimostrato che se ne può ricavare un prodotto originale, con note aromatiche che escono col tempo. Potrà anche non piacere, ma ha la sua forte personalità”. Il nome è di origine greca, significa non a caso “Frutto di una creazione”. “Abbiamo lavorato a lungo sul vigneto, per migliorare le uve e la maturità fenolica. Quando il seme è maturo anche il frutto è maturo. Abbiamo anche introdotto l’appassimento di parte delle uve in fruttaio, poi mescolate alle altre, in una sorta di rigoverno”. Aggiungiamo uno studio sui lieviti spontanei per la fermentazione e infine, la cura dell’affinamento: “Abbiamo puntato sul far crescere il vino nel legno adatto attraverso una tecnica artigianale – non tecnologia – che ha scelto le botti in legno di ciliegio e rovere ed ora di ciliegio e castagno, proprio il legno che usavano i nostri antenati”. Su una botte scorgiamo addirittura la targhetta con il versetto di un salmo “Vieni e visita questa vigna…”, apposta da una nonna di Eugenio.

Secondo Rosi “quanto rende un vino unico però è quello che non è ripetibile, ovvero l’origine, quel terreno in quel posto lì (in questo caso la località Ziresi tra Calliano e volano, n.d.r.”).

Osserva Mariano Francesconi, sommelier e formatore di sommelier: “Eugenio è già un riferimento per altri perché ha percorso con coraggio una strada che valorizza la peculiarità del territorio. E’ un artigiano del vino che ha un grande legame con la terra, ci mette le mani. E la terra è un elemento vitale che talvolta bistrattiamo, pur di assecondare certe logiche di mercato”.

Eugenio ha riscoperto lo stile del padre che lo portava in vigneto a dieci anni (“Quel che più conta è il rapporto con le persone, a volte si trascurano proprio quelle a noi più vicine perché si è presi da mille impegni”) ed è passato dalla viticoltura convenzionale a quella interamente biologica. Rosi coltiva otto ettari, tutti in affitto, che danno 30 mila bottiglie all’anno con un rapporto terra/bottiglie che privilegia la qualità”. Una scelta controcorrente – nello sbilanciato sistema trentino dominato da due sole grandi cantine – condivisa con gli amici dei Vignaioli del Trentino e il gruppo de “I dolomitici”.

Torniamo alla terra. Chi coltiva deve pensare al futuro, perchè “noi prendiamo la terra per garantirla e consegnarla alle generazioni future – osserva Francesconi, mentre Rosi annuisce – e non possiamo chiedere alla terra più di quel che essa può dare”. Una lezione di sapienza contadina, come quella scritta “Passa un favore” ricopiata da un film: “Non dobbiamo essere gelosi delle nostre conquiste. Passare un favore è puntare sulla gratuità in tempi in cui tutto è mercificato ma anche favorire lo scambio che tutti ci fa crescere. E poi “passare un favore” – buttà li Rosi – è anche dirsi che ognuno è chiamato a fare la propria parte, così si migliora il mondo”.

Diego Andreatta

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