Perfora gli acini e favorisce l’insorgenza di marciume acido. Ma rilascia anche nel mosto e nel vino sostanze odorose dequalificanti. Entrambi i danni si possono prevenire
A notare per primi la presenza talora numericamente elevata di esemplari di cimice asiatica sui grappoli di uva Chardonnay da spumante sono stati a metà agosto i tecnici che controllavano lo stato di maturazione delle uve destinate alla spumantizzazione.
Il fatto non poteva sfuggire a quanti, due settimane dopo, hanno iniziato a vendemmiare. L’odore di cimice (sostanze odorose emesse da speciali ghiandole diffuse sul corpo dell’insetto) si percepiva già senza toccare i grappoli, Nei limiti concessi dall’incalzare del lavoro i vendemmiatori hanno allontanato, almeno in parte, le cimici dai grappoli. Ciononostante si sono notate cimici talora anche numerose sull’uva posta nei contenitori destinati alla consegna alla cantina.
Sono molte le testimonianze che abbiamo raccolto circa l’entità della indesiderata presenza di questo insetto invasivo che ormai si è insediato stabilmente anche in Trentino su numerose specie arboree, arbustive e erbacee.
Tra le persone interpellate si sono tecnici che prestano assistenza ai viticoltori e direttori di cantine sociali e private. Nella maggior parte dei casi, pur non potendo negare l’evidenza, gli interlocutori hanno manifestato la tendenza a minimizzare quella che per altri è ritenuta una situazione da affrontare con determinazione, per evitare che si trasformi in emergenza irreversibile.
Basandosi anche su ricerche scientifiche ed esperienze effettuiate o ancora in corso in qualche regione d’Italia ( Piemonte, Emilia Romagna), ma soprattutto all’estero ( USA) Fulvio Mattivi riferisce di avere eseguito già nel 2015 per conto di alcune cantine dell’Emilia Romagna analisi di laboratorio sui vini provenienti da uve già infestate e su mosti ottenuti dalla spremitura di uve alle quali venivano aggiunti esemplari di cimice in numero variato e crescente.
Mattivi ha diretto il Dipartimento Qualità alimentare e nutrizione della Fondazione Mach prima di assumere il ruolo di docente di chimica alimentare all’Università di Trento.
La ricerca ha portato all’individuazione di una decina di composti volatili. I più importanti sono il trans-2 decenale e la Triade composta da dodecano, tridecano e tetradecano. Il primo è rilevabile al naso, quelli della triade sono presenti, ma non risultano evidenti all’esame olfattivo.
Negli stessi anni ricercatori di alcune Università degli USA, ma anche di Enti nazionali, svolgevano lo stesso tipo di analisi ottenendo risultati che confermavano i rischi legati alla presenza di un numero di cimici superiore alla soglia di percezione da parte del consumatore e al limite oltre il quale il vino veniva rifiutato. Mattivi non affronta il problema degli interventi da effettuare nel vigneto, ma parla di quelli che si possono attuare in vari momenti della filiera di cantina.
Tutte le sostanze rilevate in laboratorio hanno in comune la non polarità, cioè non si combinano con l’acqua e quindi sono rimovibili con un coadiuvante di chiarifica (carbone attivo) che adsorbe le sostanze cedute dalla cimice al mosto ed è facilmente rimovibile perché precipita sul fondo. Questo intervento deve essere fatto prima dell’inizio della fermentazione.
Sulla fattibilità dell’operazione abbiamo interpellato vari direttori di cantina che la ritengono facile da attuare sui mosti bianchi, ma problematica su mosto di uve a bacca rossa. Qualcuno consiglia altri tipi di intervento preventivo: lavaggio dell’uva per allontanare le cimici dai grappoli, trattamenti con aria a pressione con effetto abbattente, raffreddamento dell’uva fino al limite del congelamento che provocherebbe la caduta delle cimici sul fondo della struttura refrigerante.
Il lavaggio è praticato solo da poche cantine di dimensione ridotta. Fuori dal Trentino si citano esempi di grossi enopoli che si avvalgono di linee di lavaggio di grandi dimensioni e di selezionatrici ad aria tipo quelle usate per eliminare le impurezze da partite di leguminose, riso e caffè.
Chiudiamo con una notizia positiva. Da Roberto Larcher, responsabile dell’Unità chimica enologica della Fondazione Mach apprendiamo che a partire dalla vendemmia in corso è stato avviato un progetto organico di ricerca pluridisciplinare. Significativo il fatto che a sollecitare l’iniziativa siano stati i vertici di Cavit e di Mezzacorona.