Storie ritrovate di famiglie ebraiche in Alto Adige

“La signora Fisch portava sempre un cerotto sul braccio e noi chiedevamo: ‘Ti sei fatta male?’ E lei rispondeva: ‘Sì, molto’. ‘Non è ancora guarito?’ – ‘No, non guarirà mai’. Solo più tardi abbiamo capito che la signora Fisch sul braccio aveva un tatuaggio di Auschwitz”. La testimonianza è di Peter Langer, fratello di Alexander, il “viaggiatore leggero”. Il suo è uno dei tanti racconti contenuti nel libro “Quando la patria uccide. Storie ritrovate di famiglie ebraiche in Alto Adige”. Pubblicato alcuni anni fa in lingua tedesca (autori Joachim Innerhofer e Sabine Mayr), esce ora nella versione italiana, per i tipi di Raetia, a cura della Comunità ebraica di Merano.

Le vittime altoatesine della Shoah vennero sorvegliate ed espulse dalle autorità fasciste e in gran parte perseguitate e deportate da nazisti locali. Dopo il 1945 a molti dei sopravvissuti fu negato il risarcimento dei danni materiali e il ricordo delle vittime venne rimosso. “Quando la patria uccide”, spiegano gli autori, “documenta le molteplici forme in cui si manifestò in Sudtirolo l’antisemitismo, profondamente radicato in questa terra, racconta le sofferenze di tante vittime della Shoah e dà un nome a colpevoli e profittatori. Le vittime sudtirolesi del nazismo amavano la loro Heimat e hanno dato un importante contributo nel campo della medicina, dell’economia, delle infrastrutture, della cultura, del turismo, del giornalismo e della vita sociale. Riportare alla luce le tracce lasciate dalla comunità ebraica nella storia dell’Alto Adige significa dare loro un riconoscimento, seppur tardivo”.

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