Referendum, mare agitato

I cittadini chiamati ad esprimersi sul tema della ricerca e dell'estrazione degli idrocarburi in mare, entro le 12 miglia

“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?". È questo il quesito che si troveranno davanti gli elettori domenica 17 aprile. Il referendum punta ad abrogare una norma contenuta nella Legge di stabilità, e precisamente l’articolo 6 comma 17, ma il voto si è via via caricato di significati politici che vanno al di là della questione tecnica.

Il quesito referendario (peraltro spesso semplificato e ridotto a slogan fuorvianti) ha una portata tutto sommato limitata, ma nel confronto tra le ragioni del sì e quelle del no, o dell’astensione, si finisce per parlare di questioni molto più ampie, come il fabbisogno energetico, l'inquinamento, i consumi. Votare sì, infatti, rappresenta per la società civile un'occasione più unica che rara di esprimersi circa il futuro energetico e ambientale del Paese, dando al governo un segnale forte a favore della produzione di energia da fonti rinnovabili. In linea con gli impegni presi dall'Italia alla Cop21, si intende incentivare il governo ad intraprendere con più decisione la strada della transizione energetica.

Sulla questione il fronte del no la pensa diversamente: la quota di energia prodotta dalle attività estrattive a cui si chiede di rinunciare (il 17,6% della produzione nazionale di gas, pari al 2,1% dei consumi, e il 9,1% della produzione nazionale di petrolio, pari allo 0,8% dei consumi, secondo i dati del Ministero dello Sviluppo economico) non verrebbe sostituita da pale eoliche o pannelli solari, ma da altrettanto gas naturale o petrolio proveniente da altre parti del mondo. Diventeremmo quindi maggiormente dipendenti dai Paesi fornitori, con un inevitabile aumento dei costi.

Dei Comitati No-Triv che invitano a votare “sì” fanno parte le tre maggiori associazioni ambientaliste: Legambiente, Greenpeace e Wwf, oltre a Slow Food e Confagricoltori. Tra i partiti sono per il sì il Movimento 5 Stelle, Sinistra ecologia e libertà, Rifondazione comunista e Lega Nord. Dopo che il PD ha ufficialmente indicato l’astensione, qualche giorno fa il presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi, interpellato dai giornalisti, ha detto che al referendum “si deve votare: ognuno è libero di farlo nel modo in cui ritiene giusto. Ma credo si debba partecipare: significa essere pienamente cittadini”.

Nelle ultime settimane, si sono schierati a favore del sì diversi movimenti anche ecclesiali. Tra questi Pax Christi ha invitato ad una riflessione attenta su un tema che ha a che fare con la “cura della casa comune”, mentre le Acli hanno lanciato innanzitutto un appello al voto, rilevando poi come votare sì significhi “impegnarsi a lavorare per un sistema energetico alternativo, presupposto fondamentale per una ristrutturazione e riorganizzazione dell’intera economia in una prospettiva di sviluppo sostenibile”. Anche Fp Cgil è a favore del sì: “La scadenza delle concessioni dal 2018 al 2034 consente una prospettiva di riconversione green e di tutela dei posti di lavoro. Rendersi meno possibile dipendenti dal petrolio, carbone e nucleare, ovvero da fonti altamente inquinanti e pericolose, è una necessità da praticare anche a partire da questo referendum”.

La battaglia sulle trivellazioni si gioca anche su altri fronti. Si punta molto sui danni ambientale e sui rischi di inquinamento legati alle attività di ricerca e estrazione, ma si è parlato anche della questione occupazionale e dei danni al turismo.

Il politologo Paolo Pombeni sintetizza così (si veda a pag. 39) il polverone sollevato dal referendum “No-Triv”: “Si è ridotta una questione seria come la politica energetica a un dibattito surreale a base di fantasie pseudo ecologiste contro appelli alla tutela del lavoro, quando è evidente ad ogni osservatore che in realtà l’obiettivo è solo indebolire se non battere Renzi. Si è arrivati al punto di sostenere, anche da parte di autorevoli personaggi, che votare sia un obbligo morale, il che ovviamente non può essere, perché anche il rifiutarsi di farsi trascinare in tenzoni che si giudicano ambigue e infondate è un diritto di libertà dei cittadini. Il fatto è che, comunque finisca, il referendum sulle trivelle si lascerà dietro uno strascico di polemiche e di immaginabili denunce per complottismo, cosa di cui proprio in questo momento non c’è nessun bisogno”.

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