Meno distanza fra città e carcere

A partire dal mese di aprile, numerose realtà territoriali sono state coinvolte in una serie di eventi finalizzati alla sensibilizzazione della cittadinanza su tematiche legate al mondo del carcere. Nell’ultimo incontro sono intervenuti rappresentanti istituzionali della Casa Circondariale di Trento, rappresentanti del servizio attività sociali della Provincia Autonoma di Trento e del Comune di Trento, volontari e operatori del terzo settore, chiamati a confrontarsi sul “cosa possiamo fare per avvicinare carcere e città?“, e a prendere impegni concreti quali l’istituzione di un Tavolo permanente sul lavoro, coordinato dalla Provincia, che coinvolga istituzioni, carcere, terzo settore e imprese, e di un Tavolo delle religioni. Una sintesi delle posizioni espresse.

Valerio Pappalardo, direttore della Casa Circondariale di Trento: "Combatto immerso in una cultura giustizialista da un lato e una di apertura alla rieducazione dall'altra: occorre superare questa antinomia e il presunto scontro tra le due anime che connotano la struttura penitenziaria. Considero il carcere un palazzo di vetro, che non si chiude al dialogo con l'esterno: i detenuti chiedono di poter lavorare e sono aperto alle iniziative provenienti dalla città".

Matilde Carollo, Dipartimento della conoscenza Pat: “Sosteniamo la scuola che lavora dentro al carcere e cerchiamo di creare le condizioni che permettano a chi opera all’interno di creare uno spazio culturale, dando nuove prospettive ai detenuti, e a chi si impegna fuori gli strumenti idonei a evitare che i pregiudizi vengano alimentati. I detenuti che hanno l’opportunità di ritornare a studiare possono ripensare la propria vita, e i docenti hanno un ruolo significativo nell’offrire esempi di come sia possibile rigenerarsi e tornare sulla strada della legalità”.

Andrea de Bertolini, presidente dell’Ordine degli avvocati del Trentino: “Nostro compito è promuovere momenti di riflessione rivolti alla comunità per evitare che il carcere venga considerato semplicemente una struttura repressiva. I detenuti sono parte della società, hanno diritti come ogni cittadino. Malati psichici e tossicodipendenti non dovrebbero entrare in carcere, ma essere avviati a percorsi alternativi alla detenzione, per garantire la cura necessaria ed evitare la recidiva”.

Anezka Saliova, assistente sociale APAS: "Dal 1985 entriamo in carcere, attivandoci per garantire ai detenuti il diritto al reinserimento sociale attraverso varie proposte: il Laboratorio dei prerequisiti lavorativi, progetti di sensibilizzazione nelle scuole e di prevenzione della recidiva, il giornalino Dentro, stampato grazie a Vita Trentina, lo sportello per le famiglie, alloggi per persone in affidamento. L'anno scorso ci sono stati 211 colloqui e 19 permessi premio, alcuni di natura culturale e altri per consentire l'incontro con le famiglie tramite Skype o gli spazi messi a disposizione a Villa S. Ignazio" –

Luca Zeni, assessore alla Salute e Politiche Sociali della Provincia Autonoma di Trento: “La difficoltà maggiore è data dalla percezione di un problema di sicurezza: non è da sottovalutare, ma la richiesta della certezza della pena e di maggiore rigore non devono impedire ai detenuti il diritto di intraprendere un nuovo percorso. Occorre puntare su opportunità professionali che consentano il recupero della dignità, sul contributo dei volontari, su proposte di carattere culturale e lavorare per attuare sinergie con le realtà territoriali istituendo un Tavolo permanente tra carcere, istituzioni e realtà del Terzo settore sul tema del lavoro, capace di garantire una miglior regia”.

Roberta Scabelli, presidentessa Conferenza regionale Volontariato e Giustizia del Trentino Alto-Adige: "Il nostro intento è volto a creare uno spazio di dialogo, confronto e apertura, entrando nelle scuole con il progetto "Scuola di libertà", proponendo una formazione specifica per chi commette reati di natura sessuale, garantendo lo sportello di accoglienza per i famigliari dei detenuti" –

Don Mauro Angeli, neo-cappellano della Casa Circondariale di Trento: "Da tre anni, un gruppo di giovani entra in carcere cinque volte all'anno, incontrando i detenuti in chiesa e la lettura di un brano del Vangelo è il punto di partenza per fare spazio a riflessioni sulla paura dell'altro, sui pregiudizi. I carcerati possono ancora dare qualcosa, la persona non è il reato che ha commesso, e i giovani, sentendosi accolti, sono arricchiti da questa esperienza. Ci sono anche ministri di culto di altre confessioni, ma manca un Tavolo stabile che riunisca le realtà operanti e permetta loro di conoscersi, passo che potrebbe poi favorire una maggiore apertura alla città grazie ad un miglior coordinamento".

Alessandro Andreatta, sindaco di Trento: "Bisogna provare a parlare bene del carcere, costruendo relazioni che siano un ponte tra dentro e fuori, consentendo la realizzazione di attività in tempi ragionevoli, e impegnandosi per individuare alternative che distolgano dalla scelta di compiere reati, garantendo accoglienza, educazione, accompagnamento. Sono le parole ascoltate durante la testimonianza di Abder: ci danno un orientamento al fine di costruire una comunità più matura e responsabile".

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