La sensibilità di Dino

Rimpianto per uno dei fotografi trentini più popolari, scomparso a 68 anni: “Ha raccolto tante storie come un grande albero”

Se è vero che “la fotografia è una forma di espressione dell'anima e della vita di chi scatta” (Salgado), si comprende perchè Dino Panato – uno dei più popolari fotografi trentini scomparso a 68 anni – ci ha lasciato nelle sue immagini un po' di sè stesso: lo stupore davanti all'imprevedibile bellezza di ogni giorno, la vicinanza ai più deboli, una sana indignazione per le ingiustizie, l'attenzione alla propria famiglia. Aveva una sensibilità forte, pronta a lasciarsi interrogare, anche in una ricerca spirituale sulla quale ci si è confrontati in tanti anni di cronache anche ecclesiali per “Il Trentino”. . Pochi sanno che la grinta giornalistica (la voglia di arrivare prima e saperne una più del diavolo) si era innescata casualmente in una collaborazione del 1975 a Vita Trentina, nella quale Fulvio Gardumi gli aveva chiesto di firmare come “Di.Pa.” una rubrica sportiva avviata da Adriano Morelli. Ma anche da fotografo affermato – inviato alle Olimpiadi e sui campi di serie A per importanti agenzie internazionali – Dino ha mantenuto un rapporto cordiale con il settimanale diocesano che attingeva all'occorrenza al suo archivio, uno dei primi online: “Alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia Dino era molto attento – sottolinea il nostro fotografo Gianni Zotta – fu tra i primissimi a dotarsi del cellulare e a investire nel digitale. Teneva molto anche al rapporto fra i colleghi”.

Lo ricordiamo accogliente verso il giovane collaboratore con la stessa bonarietà riservata al veterano, pronto ad arrabbiarsi per un sopruso, meticoloso in un matrimonio o una Prima Comunione come in una routinaria conferenza stampa. “Tenero e burbero” come lo hanno definito con affetto i nipoti al termine del funerale nella chiesa del Sacro Cuore , salutato alla fine dalle musiche della sua band e all'inizio dal cerchio silenzioso di cronisti e fotografi di tante testate attorno alla bara.

Don Lino Zatelli, uno dei tanti preti amici di Dino, lo ha descritto nell’omelia – usando un’immagine del poeta Pessoa – come un grande albero con tanti e lunghi rami. “I suoi rami hanno raccolto storie, tante, gioiose e tristi; storie di festa e di pianto; esplosioni di gioia e drammatici silenzi. Hanno incontrato folle e singoli volti. Silenzi e urla di dolore. Ed ora, quasi inchinandosi, i rami fanno ritorno e abbracciano il tronco e le sue radici. La storia di Dino e le tante storie narrate e fotografate si abbracciano. Anche io, anche voi siamo storie che i suoi rami hanno raccolto. E ci inchiniamo abbracciando il grande albero. Il nostro abbraccio si fa gratitudine, preghiera, affidamento a Dio”.

Un’ Ave Maria alla Madonna del santuario novarese di Re (da dove venivano i genitori) lo ha accompagnato nel cimitero del suo amato quartiere di “San Bortol”, fra gli altri grandi alberi da dove potrà “fotografare la grande e piena primavera dell’incontro con Dio”.

Al figlio Daniele e Matteo, alla signora Franca e ai nipoti la riconoscenza della redazione e dei lettori di Vita Trentina.

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