Non si è italiani solo se si è bianchi

Esiste ancora il razzismo? Sì, e lo dimostrano non solo recenti episodi successi a Trento, ma anche lo stupore misto a incredulità di chi, davanti a persone di colore, con cittadinanza italiana perchè nate e cresciute in Italia, deve trovare una giustificazione al fatto che parlano perfettamente l’italiano. È quanto accaduto presentandosi a colloqui di lavoro ad Angelica Pesarini (New York University Florence) e Sandra Kyeremeh (Università degli Studi di Padova), le studiose che hanno inaugurato Prove tecniche di umanità, il percorso formativo promosso dall’Università di Trento per capire “Come reagire al razzismo e ai discorsi d’odio”, partito venerdì 1 marzo in un’affollata aula della facoltà di Sociologia. Il ciclo d’incontri, proposti dall’Ufficio Equità & Diversità dell’Università di Trento su sollecitazione del Consiglio degli studenti presieduto da Edoardo Meneghini, è stato presentato come “spazio in cui poter acquisire strumenti conoscitivi, relazionali e di cittadinanza attiva”, dalla Prorettrice Barbara Poggio e dalla curatrice del progetto Annalisa Dordoni.

Il clima d’insofferenza e odio nei confronti del diverso, veicolato e amplificato dai social media, è legittimato al punto da non vergognarsi più nel dirsi razzisti, e occorre vigilare, creare reti di solidarietà e parlare di più di pratiche anti-razziste. Lo ha sottolineato Angelica Pesarini ricordando che il 2018, anno in cui ricorreva l’80 anniversario delle leggi razziali, è stato anche l’anno in cui si è registrato un numero impressionante di persone nere ferite o uccise a partire dalla vicenda di Luca Traini che la mattina del 3 febbraio uscì di casa con l’intenzione di mirare a uomini di colore e ne ferì 6.

“Si può essere italiani indipendentemente dal colore della pelle – ha detto Pesarini, che si occupa di identità nell’Italia coloniale e postcoloniale in un’ottica multidisciplinare includente studi di genere, studi culturali e studi critici sulla razza -: il primo passo è riconoscere la diversità, non ignorarla o negarla: in America la diversità fa parte dell’identità nazionale, in Italia non riusciamo a sviluppare tale consapevolezza”. “Uno striscione allo stadio diceva ˈnon esistono italiani neriˈ, ma non è vero – ha commentato Kyeremeh, autrice di uno studio dedicato a “Sportive nere in maglia azzurra” -: ciò che emerge è che c’è una continua oscillazione tra il considerare i neri ˈparte di noiˈ o no anche se nati e cresciuti in Italia, come per esempio accadde con Mario Balotelli e la pallavolista Paola Egonu, insultati od osannati a seconda dei risultati in campo”. In contesti sportivi principalmente bianchi, le atlete nere o di origini straniere devono negoziare la propria inclusione anche se giuridicamente italiane: “Se l’atleta arriva a risultati d’eccellenza come vincere una medaglia d’oro, oppure porta in finale la nazionale italiana, allora merita di essere considerato italiano”. Importantissimo è dunque il ruolo delle scuole di ogni ordine nella formazione degli studenti e degli insegnanti a cui spetta il compito di raccontare non solo l’Italia di oggi ma anche il suo passato coloniale, a lungo rimosso, e responsabilità di ognuno è contribuire ad affrontare il problema della negazione del razzismo e smontare il concetto di “identità biologica” per cui si è italiani solo se bianchi.

Il ciclo di incontri prosegue giovedì 7 marzo alle 16 in aula 20 presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale (via Verdi, 26). Per info: annalisa.dordoni@unitn.it

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