L’Amazzonia brucia. Gli indios chiedono aiuto

Il missionario don Gianni Poli : “L’80 per cento in più di incendi rispetto alla scorso anno”

“Quel polmone di foreste è vitale per il nostro pianeta” è stato l’appello del Papa domenica per l’Amazzonia. Pare che finalmente il presidente brasiliano Jair Bolsonaro si sia deciso a mandare l’esercito per spegnere i tanti incendi che stanno devastando l’Amazzonia da ormai diverse settimane.

Prima ha negato il problema, poi l’ha sottovalutato, e adesso – incalzato dalle proteste interne e dal biasimo internazionale – invia 44 mila militari quando il danno all’ecosistema, incalcolabile, è già stato fatto.

Don Gianni Poli è da poco rientrato da Manaus, città affollatissima nel cuore della foresta pluviale. Ha trascorso 16 anni in Brasile e quindi conosce molto bene le dinamiche interne del sistema politico e sociale carioca. E’ Bolsonaro stesso il problema. La sua politica complessiva che mira a sfruttare ancora di più le ingenti risorse amazzoniche dando via libera allo sfruttamento più insensato da parte delle multinazionali e dei fazenderos locali. E’ arrivato ad accusare le Ong di appiccare i fuochi, quando in realtà sono interessi ben consolidati a volere fare il deserto per non rinunciare alle loro mire di conquista. Il disboscamento serve per costruire strade e opere faraoniche per poter sfruttare all’osso quei territori, stravolgerne il tessuto sociale e annientare gli indios. Don Gianni cita cifre: “Quest’anno ci sono l’80% in più di incendi rispetto al 2018”. Ma non è solo contro l’ambiente naturale, appunto, che si abbatte la scure governativa. L’offensiva è anche contro gli indios che da sempre vi abitano. “Bolsonaro li definisce cavernicoli, li chiama proprio così, li considera come se vivessero all’età della pietra!”

Sono alcune centinaia i piccoli popoli che abitano in Amazzonia, nelle Amazzonie sarebbe meglio dire, perché c’è un’Amazzonia brasiliana, una boliviana, un’altra ecuadoriana, venezuelana, ecc. e i popoli indigeni sono diversi tra di loro, con proprie storie, culture, religioni e tradizioni, alcuni ridotti a poche centinaia di persone, altri più consistenti numericamente. Sono i custodi della foresta, vivono in simbiosi con l’habitat naturale da cui traggono sostentamento e vitalità. Considerano la terra come Pachamama, la grande madre che permette loro la vita e alla fine li accoglie nel suo grembo materno. Sono anni e decenni che si battono per il primario diritto all’esistenza. Se la politica dei precedenti governi brasiliani, ad esempio il governo Lula e Dilma Rousseff, li considerava in qualche modo interlocutori – sebbene trattati a volte in modo paternalistico – col governo Bolsonaro è cambiato radicalmente lo scenario. I popoli indigeni sono semplicemente degli ingombri – ostacoli – sulla via del “progresso”, dove per progresso si intende disboscamento selvaggio, sfruttamento dissennato delle risorse boschive e minerarie e spostamento forzato delle popolazioni interessate. A questo punto risulta molto importante la mobilitazione internazionale (segnaliamo la petizione online http://chng.it/ySPRPWzWx4 con raccolta di firme #saveamazzonia)

e già al vertice del G7 in Francia se ne è avuta palpabile avvisaglia. Ma molto più importante, paradossalmente, risulta la mobilitazione di base, a cominciare dalla società brasiliana visibilmente in fermento (quasi pentita di aver dato credito ad un personaggio come Bolsonaro); dalle comunità andine intese in senso ampio, quella boliviana ed ecuadoriana, e le altre, tutte interessante ad uno sviluppo ecosostenibile. Gli incendi si spengono, e deve essere sollecito e massiccio l’intervento di spegnimento. Ma si devono poi affrontare i nodi politici della preservazione delle Amazzonie in un’ottica di autentico progresso e sviluppo che non può assolutamente prescindere dai soggetti reali che vi abitano da secoli. Un’interlocuzione che al momento li vede deboli e “perdenti”. Ma non è detto che la partita sia ormai persa a loro sfavore. Di qui l’importanza dell’ “ascolto” che si propone il prossimo Sinodo sull’Amazzonia, possibile eco di una presa di coscienza di tutti, per cambiare approccio e registro. Ne riparleremo nel prossimo numero.

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