Michele, “uomo della Pasqua”

Commozione nella Chiesa trentina per l’improvvisa scomparsa di Niccolini, primo collaboratore del vicario generale: “Un uomo abitato dalla gratuità, dal servizio, dalla pace”, ha detto mons. Tisi ai funerali

“Chissà che sabato non ci scappi il Cevedale! Poi metterò via gli sci e mi darò al trail”. Ci aveva scritto così nell'ultima mail alla redazione, Michele Niccolini, 44 anni, collaboratore di Vita Trentina e radio Trentino inBlu dagli anni Novanta, ma quella gita in val Martello assieme ad un'esperta comitiva della SAT sabato scorso si è conclusa prima della cima sotto un'imprevedibile valanga che lo ha ucciso sul colpo.

Una tragedia che ha lasciato increduli per la scrupolosa competenza con cui da anni frequentava l'alta montagna e che ha privato la Curia diocesana – ma tutta la Chiesa trentina – di un suo servitore “mite e giusto, competente e generoso” come hanno “narrato” i colleghi in una preghiera spontanea lunedì mattina davanti ad un'icona della “tempesta sedata”.

Impiegato nella segreteria generale – oltre che curatore del sito web diocesano (si era formato nella comunicazione ecclesiale), dell'apprezzato Annuario e dell'ufficio stampa – Michele appariva sorridente, puntuale e instancabile, in quell'affollato “crocevia” che viveva come un servizio anche all'unità diocesana. Era il primo collaboratore del vicario generale Tisi che mercoledì nella chiesa di Sant'Antonio, alla presenza del vescovo Bressan, ha tenuto un'omelia ispirata alla speranza della Pasqua cristiana, consolazione dello Spirito per i tanti amici e i genitori papà Adriano, mamma Lucilla e la sorella Patrizia, nostra stimata collaboratrice. Don Lauro è partito dall'ultima mail spedita insieme a Michele (“Vieni spirito creatore, facci dimorare nella Pasqua di Gesù, facci gustare la Pasqua di Gesù”) per dire “che Michele sta gustando la Pasqua di Gesù, sta salendo la Santa Montagna che è il Cristo. “Vieni in nostro soccorso, caro Michele – ha esclamato poi – la tua vita umile, sobria, fedele, non arrogante, diventi collirio per i nostri occhi, perché possiamo riconoscere che in mezzo a noi ci sono uomini e donne di Pasqua, abitati dalla gratuità, dal servizio, dalla pace. Sulle loro spalle cammina l'umanità”.

Per il vicario, “la vita di Michele vissuta fuori di sé, nel dono e nel servizio, non può morire, non è consegnata al nulla; quello che abbiamo ricevuto da lui è stabilmente con noi, è già inizio di quella Vita con la v maiuscola in cui lui è approdato”. E concludeva: “Ciao Michele, prendi parte alla gioia del tuo Signore, corri libero sulle sue Montagne”.

La bara di legno bianco richiamava lo spirito francescano (fra i tanti sacerdoti presenti c'era il provinciale frà Francesco Patton) che aveva visto Michele impegnato nella Gioventà Francescana e per molti anni nella meticolosa direzione del periodico “Squilla di vita serafica”. Il coro e i giovani di Sant'Antonio (con il parroco don Renzo Caserotti che trovava in Michele un collaboratore in Consiglio pastorale, nel giornalino e nelle pubblicazioni, vedi sotto) hanno testimoniato il servizio reso da Michele nella parrocchia che ha espresso anche quel padre Mario Borzaga, presto beato (vedi pag.11), a cui Niccolini era legato. Come a tutti i missionari martiri trentini, sui quali aveva realizzato una ricerca storica apprezzata dal Centro diocesano ed ora raccolta in preziosi opuscoli.

Le preghiere dei fedeli e i saluti hanno testimoniato in modo spontaneo la ricchezza di questo “esempio umile e generoso”. C'erano i giovani delle gite mensili in montagna – come ha ricordato Michele Armanini- che proprio Niccolini aveva lanciato ed ora proseguono nell'esperienza di “Montagna giovane” collegata alla Pastorale giovanile: un esemplare vivaio di “spiritualità della montagna”.

Della presenza “serena, discreta ma attenta”, della “grande sensibilità umana e spirituale” che faceva di Michele “il compagno ideale da avere vicino in ogni momento, nei momenti di gioia e soddisfazione ma anche nelle difficoltà” hanno parlato anche i compagni dell'ultima gita sul Cevedale: “Avevi occhi pronti a cogliere ogni particolare del paesaggio e un cuore grande per assaporare ogni momento dell’escursione e per condividere con i compagni le grandi emozioni che la montagna regala”, ha detto per tutti Roberto Anselmo “con ancora negli occhi gli splendidi panorami che abbiamo potuto ammirare fino a pochi istanti prima, col Gran Zebrù che emergeva maestoso dalla nebbia mattutina”, annunciando la decisione di collocare al Rifugio XII Apostoli una targa a ricordo nella suggestiva chiesetta, scavata nella roccia.

Anche per la nostra redazione – già toccata nel settembre 1999 dall'incidente mortale di Marco Pedrini e nell'agosto 1971 dalla morte di un altro redattore Geremia Dalponte, di ritorno dal ghiacciaio del monte Bianco (come ci ricorda Alberto Folgheraiter) – quella lasciata da Michele è una traccia indelebile nella Chiesa trentina, da cui attingere forza nella salita della vita.

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