Stefano Pivato: “Il tifo è emozione, lo dice la storia”

Studiare lo sport dal punto di vista storico significa anche approfondire le emozioni che esso provoca © foto Gianni Zotta

Nel suo ultimo saggio, “Contro lo sport” (pubblicato da Utet), ha ricercato e indagato tutti quelli che, in passato ma non solo, per un motivo o per l’altro, dell’attività sportiva non ne volevano sapere, e certo non la consigliavano, dai socialisti ai cattolici fino ad Umberto Eco.

Stefano Pivato, professore emerito di storia contemporanea all’Università di Urbino, di sport, anche se non solo, ha scritto parecchio. Da “I terzini della borghesia. Il gioco del pallone nell’Italia dell’Ottocento” a “L’era dello sport”, da “Sia lodato Bartali” a “Storia dello sport in Italia” fino a “Tifo. La passione sportiva in Italia”. In Italia è ritenuto il massimo storico dello sport. Nei giorni scorsi ha partecipato a Trento (da remoto) ad un convegno internazionale, organizzato dalla Fondazione Museo storico del Trentino che, in vista delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, aveva l’intenzione di sviscerare il rapporto tra sport e musei.

Professore, uno storico come può raccontare lo sport?

La storia dello sport è una disciplina nuova, almeno in Italia, dove da poco è stata istituita la Società italiana di storia dello sport come recente è diventata materia di studio nelle università. Va subito precisato che la storia della sport non è un’elencazione di record, primati e classifiche. Piuttosto, cerca di spiegare il fenomeno sportivo come prisma riflettente della società.

E in chiave olimpica?

È necessario partire da uno degli aforismi più ipocriti del Novecento, quello del barone de Coubertin (l’inventore delle moderne Olimpiadi, ndr): «L’importante è partecipare».

Per arrivare dove?

Che, nello sport, l’importante è vincere. Pensi a Raymond Poulidor, il grande campione del ciclismo francese che non vinse mai un Tour de France e arrivò cinque volte secondo. Lo sportivo è l’eroe per eccellenza del Novecento, per citare lo scrittore Robert Musil e il suo «L’uomo senza qualità».

“Sport e musei, una sfida possibile”, per stare al titolo del convegno. Di che tipo?

Tenga presente che i musei dello sport sono di recente costituzione, soprattutto in Italia. E sono musei che raccolgono più che altro mirabilia, maglie, palloni, biciclette e tanto altro. In diversi, almeno in Italia, hanno chiuso perché poco appetibili. Se dovessi individuare un modello di museo è quello dello sport di Francia che da Parigi si è trasferito a Nizza. Perché racconta che tipo di società sta dietro lo sport, una storia più complessiva.

In vista delle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026 come raccontarle, storicamente?

Come un percorso che parte da quelle di Cortina del 1956, che segnano un affrancamento per l’Italia, un ritorno nel concerto delle nazioni mondiali visto che il nostro è uno dei Paesi sconfitti nella Seconda guerra mondiale. Olimpiadi che preparano quelle ‘estive’ di Roma del 1960.

Uno storico dello sport come lei è anche, o può essere anche un tifoso?

Ma certamente. Studiare lo sport dal punto di vista storico significa anche approfondire le emozioni che esso provoca. Il tifo, escluse le manifestazioni violente, è emozione.

vitaTrentina

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