Due malattie e la vita piena/2

Lottare per restare se stessa in contatto con la persona che era, prima che l'Alzheimer, giorno dopo giorno, si porti via i ricordi e le passioni di una vita intera. Perché è l'affetto forte e l'unione della famiglia ad aiutare più di ogni altra cosa nell'affrontare le conseguenze di un male così devastante.

Sono questi i messaggi fondamentali scritti dentro Still Alice, il nuovo film sceneggiato e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland, tratto dal romanzo omonimo di Lisa Genova (Still Alice. Perdersi, ed. Piemme). Nel film Julianne Moore dà voce e corpo ad Alice Howland, moglie, madre di tre figli e stimata professoressa cinquantenne di linguistica alla newyorkese Columbia University. Durante una lezione accusa i primi sintomi di una rara forma di Alzheimer precoce, quando inizia a dimenticare alcune parole. Quasi un paradosso per una persona che sulla precisione linguistica ha sempre basato la sua attività accademica.

Il film racconta con realismo in uno stile delicato, senza commiserazioni o morbosità, la nuova esistenza della professoressa. Alice infatti deve imparare a convivere, in equilibrio tra la fatica di tenere insieme perdite di memoria e disorientamenti sempre più frequenti, con la determinazione di allenare la mente e trovare, nonostante tutto, una pienezza di vita. La protagonista cercherà aiuto nella tecnologia informatica del computer e dello smartphone dove, come in un'appendice della memoria personale, registrerà il maggior numero di informazioni possibili sulla sua vita passata (le date dei compleanni, i nomi dei figli o le ricette di cucina preferite). Un tema quello del dialogo fra le due memorie reale e virtuale, talmente ricco di spunti per lo spettatore, da meritare uno sviluppo narrativo più ampio nella sceneggiatura.

Tra gli altri personaggi spicca quello di Lydia, figlia minore di Alice e artista ribelle (interpretata con speciale intensità da Kristen Stewart, resa famosa per aver recitato con il ruolo di Bella Swan nella serie cinematografica di Twilight). Si prenderà cura della mamma con la bellezza della letteratura drammatica e, facendo leva sulle emozioni, la aiuterà a ricomporre la sua esistenza.

Ma il successo di Still Alice, che ha già assicurato a Julianne Moore premi internazionali a Cannes, Berlino e Venezia, è arrivato perché i film di malattia, (si pensi a La teoria del tutto, a Colpa delle stelle o al celebre Iris. Un amore vero, per arrivare forse al riferimento più diretto, Una sconfinata giovinezza di Pupi Avati) sono di per sé “curativi” del male di vivere tanto presente nelle nostre società contemporanee e per questo creano una fortissima empatia nello spettatore, tenendo incollati allo schermo. Le pellicole di malattia infatti, pur non curando le patologie nel senso vero del termine, dimostrano come sia sempre possibile trovare un senso nuovo e inaspettato dell'esistenza, anche quando a prima vista la si vede mutilata all'improvviso.

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