Perché è bene pregare

Caro Piergiorgio,

mi rivolgo a te che sei (mi pare) un uomo di fede: che senso, che effetto ha, a cosa “serve” la preghiera? Un’infinità di persone hanno pregato, supplicato Dio e, a me sembra, non sono state esaudite (le madri che venivano spinte nude con i loro figlioletti nelle camere a gas, gli individui che ovunque sulla terra venivano decimati, torturati, sgozzati o semplicemente una mamma che prega affinché il figlio superi una prova ecc. ecc.). A me sembra che Dio, supposto che esista, non entri nella Storia. Ci lascia fare. Non punisce il malvagio, non premia il giusto, su entrambi splende lo stesso sole. Dice il Papa: pregate per me. E se un miliardo di cattolici pregano ogni giorno per lui cosa gli succede? E se non lo fanno? Mi sembra che per le categorie umane (ed altre non conosco) l’exaudi orationem meam (ascolta la mia preghiera) non produca effetti. In altre parole: se è bene pregare, perché lo è?

Giorgio Jellici (Erlangen, Germania)

Di fronte alle guerre, all’odio e alla violenza del mondo, così evidente proprio in questi giorni, ci domandiamo se e come Dio agisca nella storia. Poi ci sono i drammi personali: una malattia, una morte prematura. Insomma il male del mondo, da te giustamente sintetizzato dalla terrificante realtà della Shoà (è accaduto e potrebbe ripetersi) mette in discussione Dio stesso e quindi le preghiere degli uomini.

In termini teologici si parla del “il problema della teodicea”, cioè della giustizia di Dio e del suo intervento  nel mondo: una questione più che millenaria e che attraversa praticamente ogni religione. Ci sono due poli opposti:  chi dice, come gli islamici, che Dio  fa tutto e bisogna accettare la sua volontà e altri che dicono che Dio, se esiste, non si interessa per nulla alle vicende umane. Le religioni orientali non si pongono neppure il problema (benché la pietà popolare si rivolge alle divinità come accade da noi).

Se la divinità non ha contatti con gli uomini, la domanda che tu hai posto non ha ragion d’essere. Nella prospettiva biblica, in cui Dio esiste se e solo se è presente nella storia, invece è bruciante e inquietante: perché le azioni dei malvagi vanno a buon fine? Perché i giusti periscono? Perché Dio non salva il mondo, non esaudisce le mie, le nostre preghiere? E poi, a rigor di logica, perché dovrebbe esaudire una richiesta e “infischiarsene” di un’altra?

Numerose sono state le spiegazioni. In epoca medievale Dio non esaudisce perché le preghiere vengono fatte in maniera sbagliata, oppure chiedono cose cattive, oppure la persona che prega ha un intenzione malvagia (aut male, aut mala, aut malo petitur). Questi ragionamenti, forse troppo “utilitaristici”, rischiano di snaturare il senso stesso della preghiera che non è in primo luogo una “richiesta a Dio che risolva i nostri problemi quando stiamo male”.

Un poeta israeliano moderno, Jehuda Amicai, ha scritto una poesia dal titolo “Gli dei cambiano, le preghiere restano”. Questi alcuni versi: “Lapidi si spezzano, parole fuggono, cadono parole nell’oblio,/labbra che le dissero si son fatte polvere/lingue muoiono come figli d’uomo/rinascono altre lingue alla vita/dei cambiano in cielo, si avvicendano gli dei/le preghiere restano sempre”. Ciò vuol dire che la preghiera è connaturata all’uomo e prescinde dalla religione e pure dalla propria fede personale, che può anche essere flebile o all’apparenza inesistente.

La preghiera è dunque un atteggiamento interiore che ci rapporta in vari con una dimensione che trascende la realtà materiale. Quando il Papa dice “pregate per me” pensa ad una comunione spirituale con tutti i fedeli. Ha una valenza comunitaria. Possono sembrare parole astratte, ma quando pensiamo a un nostro caro non ci mettiamo in qualche modo in contatto con lui anche se è lontano? Quando ricordiamo i morti, non sentiamo forse che ci parlano ancora? Il laico Walter Benjamin dice che c’è un appuntamento segreto tra le generazioni passate e la nostra, c’è un legame stretto, una “corrispondenza di amorosi sensi”, direbbe Ugo Foscolo. La preghiera genera questo legame invisibile. Con se stessi, con gli altri, con la natura e, per chi ha fede, con Dio.

La preghiera è dunque raccoglimento, rendimento di grazie, richiesta di perdono, lode stupita del mondo, ma pure domanda sul senso dell’esistere. Non possiamo rispondere pienamente alle domande sul perché Dio non esaudisce. Resta l’invocazione del salmo: “Volgiti Signore, fino a quando?”

Resta uno spazio aperto che è il “luogo” della preghiera, ciò che ci fa restare umani prima di essere dei devoti credenti.

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