Speciale Papa Francesco: Il silenzio di San Pietro

Città del Vaticano, 21 aprile – Il silenzio, colpisce il silenzio, nella grande piazza. E la compostezza delle persone che via via vi giungono, da via della Conciliazione e dal dedalo di viuzze che circondano il colonnato del Bernini. Siamo abituati a una piazza San Pietro diversa, e comunque non è quella che ci saremmo aspettati di trovare. Intorno alle 14, quando ci avviciniamo provenendo dalla stazione della metro di Ottaviano, la prima sensazione è che molti ancora non sappiano dell’annuncio dato solo poche ore prima dal cardinale Farrell. Eppure, la macchina organizzativa è già al lavoro. All’ingresso della piazza, un’area circondata da nastro giallo ospita quello che con espressione dispregiativa viene chiamato “circo mediatico”. Ma nella concitazione si coglie in tutti, giornalisti e cineoperatori, compostezza, consapevolezza della gravità del momento. Il funerale si preannuncia sobrio, come voluto da Francesco: una bara semplice, chiusa. Nell’attesa, passeranno almeno tre giorni, in serata alle 20 a San Giovanni il cardinale Farrell ci presiederà il rito della constatazione della morte e della deposizione della salma nella bara, presenti il decano del Collegio cardinalizio, i familiari del Pontefice, direttore e vicedirettore della Direzione di sanità e igiene dello Stato della Città del Vaticano.

“Come spesso succede a Roma ci si sente nel flusso della storia. E quando accade la morte di un pontefice ci si sente particolarmente al centro del mondo. È presto per rendersi conto del lascito di questo Papa, mi pare che si possa riassumere nella frase che lui stesso pronunciò appena eletto: non viviamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca”, ci dice Maurizio Gentilini, lo storico e scrittore trentino che ormai da anni vive e lavora nella capitale. Lo raggiungiamo davanti all’ingresso della Sala stampa del Vaticano e qui ci confida di non aver potuto fare a meno, appena si è diffusa la notizia, di raggiungere insieme alla moglie San Pietro per entrare nella basilica e pregare per Francesco. Come loro tanti altri: è il popolo di Francesco, del vescovo di Roma che appena eletto volle come primo gesto che fosse il popolo a benedirlo: benedire lui, il Papa, prima di impartire lui la benedizione.

Pastore tra le pecore, con il loro odore, come molti qui nella folla ricordano e ripetono. Pastore di una Chiesa che lui avrebbe desiderato povera per i poveri. Una Chiesa che lui ha chiamato a tornare all’essenza del messaggio evangelico, che è la misericordia. Ce lo ricordano, con tristezza, suor Maria Antonietta e suor Magna della congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che con un gruppo di consorelle si stanno recando in San Pietro. “La vicinanza al Santo Padre è parte del carisma della nostra famiglia, è l’insegnamento che ci ha lasciato don Bosco”.

Suor Maria Antonietta e suor Magna delle Figlie di Maria Ausiliatrice

Poco più in là, vicino all’obelisco dove già cominciano a comparire i primi mazzi di fiori lasciati con semplicità appoggiati alla pietra da anonimi fedeli, don Hans, della diocesi di Roermond nei Paesi Bassi, accompagnato dalla sorella e da un altro familiare, che ci fa da interprete, vuole esprimere due sentimenti: la tristezza per la perdita di un padre buono, “un pastore speciale che ci lascia grandi doni, come l’attenzione ai poveri e a chi è ai margini verso i quali esercitare misericordia”.

Don Hans, prete olandese, con i familiari in piazza San Pietro

L’altro sentimento è di ringraziamento: “Sì – ci dice don Hans – un grazie per la sorpresa di averci lasciato proprio in questo giorno che per la nostra fede è il più grande, è il giorno dell’annuncio della resurrezione. E proprio nell’Anno del Giubileo della speranza da lui indetto”. Anche con la sua morte, sottolinea don Hans, papa Francesco ci lascia un messaggio di speranza, quella speranza che nel suo pontificato ha portato agli ultimi, fin dalle sue prime uscite pubbliche, “come i migranti che volle incontrare a Lampedusa nel suo primo viaggio o i senza dimora, che le statue collocate per sua volontà da una parte e dall’altra del colonnato ricordano”.

Sottolineano con un misto di dolore e di stupore la incredibile coincidenza della salita di papa Francesco al Cielo proprio oggi alcuni giovani giunti da Zurigo (Svizzera) in mattinata e corsi in piazza San Pietro per una preghiera. Riassume i sentimenti di tutto il gruppo di 64 persone, “dai 15 ai 47 anni” Monica, prima di congedarsi. “Nei prossimi giorni saremo ad Assisi, ma grande è la tristezza”.

Alcuni giovani giunti da Zurigo, parte di un gruppo di pellegrini dai 15 ai 47 anni di età

Pellegrini sono anche Tom e Suzi, tedeschi, che a Roma arrivano dopo 18 giorni di cammino lungo la Via Francigena, come confermano i tanti timbri sul loro quaderno del pellegrino, e che condividono gli stessi sentimenti.

Nella folla composta ci sono anche Gaston e Natalia, studenti alla Sapienza: le loro maglie albicelestes, della Nazionale argentina, ne denunciano l’origine, il paese del Papa. “Non siamo troppo credenti, ma devo riconoscere che sono stupito della mia reazione alla notizia della morte del Papa, è davvero inaspettata”, dice Gaston. “Per noi argentini è un’icona, una figura straordinaria. È sempre stato accanto agli umili ed è stato lui stesso un umile, un semplice”.

Gaston e Natalia, universitari argentini, studiano a Roma

Il Papa della misericordia è anche quello di Regina, che ci tiene a precisare di essere qui come persona gender. “Papa Francesco l’ho visto sempre come una figura vicina alla comunità Lgbt così come verso gli ultimi e verso le persone marginali. Ha avuto il coraggio di indire il Giubileo per la comunità Lgbtqia+ che si terrà il 6 settembre prossimo (promosso dall’associazione La Tenda di Gionata, ndr). Da persona credente mi sono sentita accolta nella comunità cristiana”.

Una Chiesa casa per tutti, una Chiesa “ospedale da campo”, una Chiesa capace di testimoniare controcorrente: tanti ricordano così Francesco, che fino all’ultimo, molti lo sottolineano, ha voluto essere semplicemente il vescovo di Roma, come si presentò affacciandosi la prima volta dal Palazzo vaticano, fino all’ultimo suo giorno, passando in mezzo al suo popolo, pur nella sua estrema fragilità, come ha fatto il giorno di Pasqua. E lasciando, quasi come testamento spirituale, un rinnovato monito contro le armi e le guerre: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”.

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