Crisi dei partiti, che fare?

Carissimo Piergiorgio,

Vorrei condividere con te una fatica che mi trovo a vivere, fatica che spesso diventa un dubbio talmente profondo da bloccare l'azione. Sono iscritta ad un partito e mi ritrovo a convivere con molte difficoltà: poca chiarezza nei principi ispiratori che diventano difficoltà a stendere un programma adeguato da affidare ai propri amministratori, personalismi (e coorti appresso) anche da parte di chi non ti aspettavi, poca osmosi con il territorio, difficoltà direi quasi strutturale a scegliere il dialogo come metodo dentro e fuori il partito…

Non ho dubbi sulla loro necessità (per ostacolare l'occupazione dei palazzi da parte dei poteri forti; per selezionare classe dirigente; per rappresentare democraticamente il territorio, non solo attraverso le elezioni;…), ma come trasformare questi partiti obsoleti nella loro organizzazione? "Contestandoli" da dentro o da fuori?

Lucia Fronza Crepaz

La tua domanda avrebbe bisogno di un adeguato spazio di riflessione. Offrirò allora soltanto qualche spunto. In un recente libro, il giornalista Marco Damilano sintetizzava in tre parole il percorso discendente della politica italiana: dalla rappresentanza alla rappresentazione fino a giungere all’attuale auto-rappresentazione, tratto dominante della “Repubblica del selfie”, come è intitolato il volume.

Va da sé che, a mano a mano che la politica si personalizzava sulla figura del leader, il ruolo dei partiti diminuiva, collassando con Tangentopoli e con la successiva, interminabile, sequenza di malaffare che ha roso completamente la credibilità di quelle libere associazioni di cittadini, appunto i partiti, che l’articolo 49 della Costituzione chiama a “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Ovviamente questa crisi non è solo italiana. Coinvolge tutte le democrazie occidentali. A mio avviso la radice di questo declino si ritrova in ultima analisi in un esasperato individualismo che rende sempre più difficile lo “stare insieme” ad ogni livello. Perché lo stare insieme implica sempre almeno una piccola rinuncia a se stessi in favore del gruppo. Tra il collettivismo (che presuppone un inaccettabile predominio dello Stato sulla libertà) e l’individualismo, a cui oggi aggiungiamo il populismo, ci potrebbe essere “la via alternativa” del popolarismo personalista che ha guidato il nostro Paese nella ricostruzione post bellica.

Ora però come si fa a parlare di popolo, di comunità, di persona, di politici che guardano non alle prossime elezioni ma alla prossima generazione? È impossibile dare una risposta, indicare una strada univoca. I cammini si ingarbugliano quasi in un labirinto. Il partito di massa è morto, mentre il modello americano (che, ricordiamolo, pur avendo partiti “leggeri” ha pesi e contrappesi molto chiari e ha norme cogenti per la selezione della classe dirigente attraverso le primarie) è applicato qui da noi in maniera distorta.

Partito degli iscritti o partito degli eletti? Partito contenitore o con un chiaro programma? Partito che decide solo le liste elettorali o che fa formazione? Tra queste variabili si dovrebbe trovare una soluzione realistica, compatibile con l’era digitale, con una democrazia rinnovata capace di pensare globalmente ma pure di governare la concretezza dei problemi quotidiani di un determinato territorio.

Cosa servirebbe allora? Intanto servono persone credibili che si impegnano gratuitamente nei partiti. L’importanza di essere “dentro” è quindi fondamentale, benché oggi tutto concorra al disimpegno. Ma anche chi sta “fuori”, nelle professioni, nelle associazioni, nella cultura, può contribuire a costruire la democrazia. Bisognerebbe trovare i modi affinché questi due mondi si parlassero. Sta però prevalendo un “terzismo” per cui è vietato dire “da che parte si sta”, pena essere tacciati per partigiani. In realtà, lo sappiamo bene, solo la verità ci fa liberi.

Non credo che si possa ritornare ai partiti identitari. Gli eletti nelle istituzioni svolgono e svolgeranno un ruolo predominante. Sarebbe già tanto che i partiti riuscissero a creare e selezionare una classe dirigente (e a valutarne i risultati). Alla fine occorre però concentrarsi sulle idee per il futuro. Concludo con Bonhoeffer: “Non dobbiamo mai lasciarci consumare dagli istanti, ma dobbiamo mantenere la tranquillità delle grandi idee e misurare tutto su quella”.

vitaTrentina

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