La neve sui monti, il letame nei campi

1982. Una donna che spala il letame a Fierozzo in Val dei Mocheni. Foto © Gianni Zotta
Val dei Mocheni, Fierozzo, 1982 – Si fa presto a dire donna, in montagna. In Val dei Mocheni, soprattutto. Adesso la zootecnia è stata costretta a ricalcare le stalle padane, con allevamenti intensivi e centinaia di capi di bestiame. Ma fino a trent’anni fa c’era ancora chi aveva una o due vacche nella stalla. Servivano per l’autoconsumo (latte, burro, formaggio) e per la concimazione dei prati. Che toccava alle donne perché gli uomini, dall’autunno alla primavera erano a far “el Ziro”, lontani da casa a praticare il commercio ambulante. Kromeri, appunto.Gli animali erano allevati con il fieno e vari cereali, i mangimi industriali costavano e non facevano parte della tradizione contadina. Il letto delle vacche era composto con foglie secche, erbe di montagna e eriche. Anche il letame era “profumato”, o almeno non emanava le puzze degli allevamenti intensivi.Scomodando la storia, quando si teneva il mercato del bestiame, in piazza d’Armi (oggi piazza Venezia) a Trento, nel 1852 era “vietato il raccogliere, senza consentimento dell’appaltatore, le materie escrementizie deposte nel campo, delle quali egli è autorizzato esclusivamente a disporre”. Questo l’Avviso del Municipio cittadino diramato dopo che Domenico Barelli si era aggiudicata per tre anni e dietro pagamento di 580 fiorini, “l’esazione della tassa di posteggio nelle fiere d’animali in piazza d’Armi”.

Insomma, si vendeva anche il letame. Perché, lo ricordava una canzone di De André, “dal letame nascono i fior”.

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