Torniamo ad essere laboratori di autonomia

Il palazzo sede della Provincia autonoma di Trento. Foto (c) Gianni Zotta

Lo spunto

Le ultime notizie, quelle provenienti da Roma, sono buone, prendiamone atto con una certa soddisfazione. A mia memoria due sono stati i congressi straordinari della Volkspartei, quello del novembre 1969 per l’approvazione del Pacchetto e quello del 1992 per l’approvazione della Quietanza liberatoria. In questi giorni è stato celebrato un terzo congresso straordinario. Che cosa può significare questo? Non ho dubbio alcuno, stiamo attraversando un passaggio storico. Ma più ampi sono i poteri, maggiore è la responsabilità.

Giorgio Postal

(Bolzano,17 aprile 2025, presentazione del libro “Brani di storia vissuta”)

La partecipazione diretta dei presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano alla presentazione del libro del senatore Giorgio Postal “Brani di storia vissuta” che – come abbiamo anticipato – racconta anche il passaggio delle competenze più rilevanti dalla Regione alle Province è stata seguita pochi giorni dopo da un altro loro incontro paritetico a Salorno e accompagnata da una contemporanea ridefinizione di competenze operata dal Governo. Si può aprire una fase nuova, quasi una terza tappa, nel percorso autonomistico di Sudtirolo, Alto Adige e Trentino, una fase che, senza voler anticipare previsioni di “terzo statuto” (per il quale non sembrano manifestarsi condizioni adeguate, né interne, né esterne) riconferma però il “primato della politica” nella costruzione del percorso autonomistico, rispetto ad approcci eccessivamente formali, suscettibili di cristallizzare i problemi invece di affrontarli progressivamente e “dinamicamente” come ha consentito il “secondo statuto” del 1972, dopo l’inadeguatezza presentata dal primo , quello regionale del 1948. Il “primato della politica”, emerso negli anni della provocazione terroristica e consolidatosi successivamente con la “quietanza liberatoria” di Vienna e la prassi pattizia delle “norme di attuazione”, ha caratterizzato anche gli incontri fra i due presidenti. È apparso forse un segno di disponibilità politica a coltivare rapporti più intensi fra le realtà delle due Province, lasciando inalterata la pienezza formale e giuridica delle rispettive autonomie e competenze provinciali, ma affrontando un’altra dimensione che è poi il fine ultimo del poter essere e sentirsi “autonomi”. E questa consiste nel rinnovare e rilanciare nella modernità lo spirito delle antiche autonomie alpine, come ha ribadito lo stesso senatore Postal introducendo l’incontro di Bolzano e commentando il ruolo propulsore avuto dal Trentino (e dai suoi rappresentanti nella Commissione dei 19), posto che nel raggiungimento delle due autonomie, paritetiche ma distinte, “resta inalterata la doverosa e permanente ricerca di comuni intese con il Sudtirolo”.

L’impegno della politica in questa nuova fase dovrà essere raddoppiato (e ciò riguarda soprattutto il Trentino, che sembra essersi attardato negli ultimi tempi) nell’intessere contatti e nell’approfondire relazioni, con Roma, Innsbruck, Vienna, Bruxelles. Nello stesso tempo, non potrà mancare di essere accompagnata da una reale partecipazione delle realtà civili, economiche e culturali che dovranno aprirsi ad una stagione di “ricerca di comuni intese”, non certo di rivalità e conflittualità fra Trento e Bolzano, che passino anche da più intensi contatti e conoscenze a livello personale e linguistico.

La sfida non è da poco. “Primato della politica”, infatti, non significa lasciare l’autonomia agli addetti ai lavori, ma riappropriarsene sul territorio. Si tratta in sostanza di riscoprire, e in molti casi rinverdire, la antiche comuni radici alpine dell’autonomia di questa terra, basata sulla sostenibilità ambientale, sulla solidarietà, sul cooperare, sui beni comuni indivisi e indivisibili sottratti alle logiche speculative dei potentati privati. La sfida riguarda più fronti, ma porta in sé il vero senso dell’essere “autonomi” che non significa avere più competenze se poi queste vengono usate per fare in seconda battuta ciò che altri già fanno, ma per distinguersi, per essere più sobri, più umani più giusti, più padroni del proprio lavoro.

È stato così anche nel tragitto che dal Los von Trient (1957) ha portato alla Quietanza liberatoria di Vienna (1992) con l’apporto determinante di statisti come Moro e Klaus, Andreotti e Moch che guardavano al Sudtirolo e al Trentino, ma non perdevano di vista l’Europa e il mondo. “Moro sapeva tutto della vicenda sudtirolese, anche gli aspetti più minuti – ha detto Postal – ma collocava la sua soluzione, e la perseguiva, all’interno di una visione di politica internazionale di grande respiro, dove, nel tempo di una guerra fredda particolarmente acuta, una volta superate le controversie, considerava la possibile alleanza strategica fra Italia e Austria al fine di costruire una sorta di polo intermedio, orientato alla distensione. ”Ora la situazione è mutata, la guerra fredda si è trasformata in “guerre calde” e il disegno di Moro si presenta ancora più attuale per le autonomie.

L’esperienza trentino-sudtirolese con la sua “mission confinaria” può servire a dimostrare che la pacificazione è possibile anche fra popolazioni “di minoranza” nei rispettivi territori, ma al tempo stesso può incentivare tutta l’Europa verso un ruolo di pace, non un riarmo foriero di imprevedibili sviluppi.

L’Europa non può diventare un “terzo polo” nella competizione fra superpotenze in armi che cercano di spartirsi il mondo, ma deve proporsi come riferimento di distensione, di lavoro, di giustizia sociale. è questo anche il lascito politico di Bergoglio, un Papa non certo “eurocentrico”, come magistralmente ha scritto Gianni Bonvicini sull’ultima Vita Trentina, ma convinto, proprio guardando la realtà con gli occhi “del sud del mondo”, della necessità che l’Europa sappia ritornare “allo spirito pionieristico e di pace dei padri fondatori”. E possa quindi ritornare un’Unione protagonista che guarda, difende e tutela l’uomo”. “Anche perché non è più possibile che l’Unione ruoti solo intorno allo sviluppo dell’economia”.

È una prospettiva questa che si propone come possibile piano d’azione per la nuova fase delle autonomie, con il Trentino (la sua università, gli istituti di ricerca nati con la “seconda autonomia”) trainante nel porsi come laboratorio europeo nella ricerca di una via più equa verso il futuro.

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