Quelle voci di donna con le foto di Faganello

Lo spunto

A vent’anni dalla sua scomparsa, la mostra allestita dal Filmfestival della Montagna su Flavio Faganello presso il Museo Diocesano di Trento, organizzata dalla Provincia di Trento, Sovrintendenza per i Beni culturali di concerto con l’Archivio Diocesano Tridentino e la Biblioteca Vigilianum di Trento, si è proposta di mettere in luce l’eredità culturale del grande fotografo e giornalista (Terzolas, Val di Sole 1933- Trento 2005) esprimendo i diversi aspetti di una visione autoriale intimamente connessa alla pratica del camminare. Una scelta di oltre cento fotografie che invitano gli appassionati di cammino, viandanza e turismo lento a (ri)scoprire percorsi e contesti sociali di un mondo dove la storia batteva alla porta, con epocali trasformazioni ambientali ed antropologiche del territorio regionale, a Trento come a Bolzano, nell’era del boom economico e dell’espansione turistica. Al tempo stesso le immagini rievocano lo stretto nodo tra le forme del paesaggio e la vita delle società contadine di montagna, i loro patrimoni di cultura, le espressioni della spiritualità lungo gli antichi sentieri, con la loro inconfondibile morfologia di croci, di steccati, edicole votive, manufatti in pietra a secco. Faganello coglie le fatiche del lavoro, le forme della socialità, il particolare rapporto fra persone e spazi sacri.

Roberto Festi

La mostra “Fotografie in cammino”, dedicata a Flavio Faganello presso il Museo Diocesano in Piazza Duomo a Trento (fino all’8 settembre) non è solo un ricordo dell’attività del grande fotografo e “reporter”, ma si rivela una proposta di esplorazione nella cultura della montagna, un viaggio alla scoperta degli elementi che la compongono. E della visione di vita necessaria perché possa affrontare la sfida della modernità, nella simbiosi fra umanità e natura. Perché la montagna si rivela agli uomini e alle donne con una doppia faccia. Sa accoglierli quando cercano libertà e sostentamento, ma al tempo stesso la montagna può respingere chi – invece di viverla e lavorarla con fatica- vuole sfruttarla, uniformarla, urbanizzarla e ridurla ad un terreno di gioco o appiattirla a periferia metropolitana. Fin dai tempi più antichi i profughi e gli uomini liberi hanno sempre trovato rifugio fra le montagne, mentre gli imperi e gli autoritarismi hanno cercato di spianarle. Così è stato per Roma, con la guerra retica e la costruzione delle grandi strade che poi si sono rivelate un boomerang, perché, superando le Alpi, hanno sì consentito l’espansione imperiale in Europa ma hanno poi presentato comode e veloci vie di penetrazione ai Barbari invasori. In questa prospettiva la mostra delle fotografie di Faganello, allestita dall’architetto Roberto Festi con molte immagini inedite (mai pubblicate neppure nei libri con Aldo Gorfer sulla Val dei Mocheni e sui Masi dell’Alto Adige), coglie la montagna negli anni di passaggio cruciali fra la fine di una secolare civiltà contadina e l’aprirsi dell’attuale momento, segnato dalla meccanizzazione industriale (ed ora dalle reti elettroniche “on-line” che annullano spazi e tempi e pongono la cosiddetta intelligenza artificiale al posto della sapienza manuale) ma non è una mostra sui “tempi antichi”. È piuttosto la proposta di una sfida che la modernità deve affrontare se vuole trovare nuovi equilibri, nuovi rapporti umani e sociali, nuove relazioni fra gli esseri viventi. I sentieri ritratti da Faganello, costruiti (e mantenuti) con tanta perizia e fatica dalle generazioni che ci hanno preceduto conducono ora noi nel loro cammino e ci portano verso un futuro tutto da costruire. La mostra, peraltro, uno spunto di base lo fornisce e lo indica nella donna, figura essenziale nelle immagini di Faganello e nella civiltà alpestre: la donna nella sacralità e affettuosità della sua vicinanza, ma anche la donna nella sua essenziale presenza che fa “vivere” la montagna. Perché la montagna vive se la donna “resta” in montagna, se la riempie con i suoi valori, il suo sentimento, la sua accoglienza, il suo spendersi quotidianamente per gli altri. Se la donna rifiuta la montagna si apre un vuoto che la fatica dell’uomo non basta a colmare. Anche questo dicono le foto di Faganello. E non a caso uno dei suoi libri si intitola “Con voce di donna”, come non a caso l’ultima eroina della “sua” montagna può essere considerata l’Agnese del Cagnon, mancata da poco, ma presenza ben conosciuta dai percorritori dei sentieri per aver gestito (dato veramente vita) lungo interi decenni a Malga Cagnon di Sopra, al confine della Valle del Fersina con Calamento. Ma la donna è stata anche al centro di un significativo “recital” su Faganello e le sue immagini, condotto per l’apertura della mostra. Ne hanno preparato e recitato i testi, Chiara Turrini e la figlia Stefania, con Irene Faganello, la figlia più giovane del fotografo. Era presente anche la moglie Licia (nella foto) che ha riconosciuto la fedeltà dei testi (sottolineati da musiche di Lorenza Anderle al piano e Veronica Beber al violoncello) alla personalità di Flavio. Chiara Turrini è stata collaboratrice di Faganello nel ritoccare (con brevi e sapienti tocchi di inchiostro di china) le immagini di Faganello quando occorreva, preparare le impronte di zinco necessarie, allora, per le pubblicazioni a stampa, prima che si affermasse l’offset, un’arte imparata dal padre e dall’altro grande fotografo trentino Luciano Eccher. Fra i testi, recitati mentre venivano proiettate le foto, anche brani di poesia di Verena Faganello e di Marco Pola. L’intreccio di letture e musica nel recital – ha commentato la signora Licia – “hanno dato qualcosa di più alle immagini. Le fotografie le conosco le ho viste molte volte, eppure mi sembrava che prendessero vita con le letture e con la musica, che i volti si animassero mostrando la fatica e i sorrisi. Grazie alle artiste che hanno omaggiato in modo così originale Faganello”. Ed hanno aggiornato ed arricchito anche noi – potremmo aggiungere –, perché hanno completato la sua esplorazione della montagna e delle presenze di donna in essa.

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