L’ingorgo

Sta accadendo quel che ci si poteva aspettare: l’accumularsi di scadenze legislative e di scadenze politiche sta mandando in fibrillazione la politica italiana. Sul primo versante c’è da approvare la legge di stabilità (l’ex finanziaria), cosa da fare entro fine anno, altrimenti si va all’esercizio provvisorio e di questi tempi sarebbe un boomerang sui mercati internazionali. Poi c’è da chiudere la legge sul lavoro, anche questa una scadenza incombente.

A cavallo c’è la vicenda della riforma elettorale, passata alla Camera in una versione che non va più bene, per cui al Senato andrebbe cambiata nuovamente per poi tornare alla Camera per la ratifica definitiva. Ma è un terreno su cui, come vedremo tra un attimo, ci sono molte incognite.

Sul versante politico si è aperta la vicenda della successione a Napolitano. La faccenda è un attimo surreale. Viene infatti aperta da un commento giornalistico che di per sé rilancia quel che il Capo dello Stato aveva detto molte volte: resterò finché le forze me lo consentono (la prossima primavera compirà 90 anni) e qui non si può sapere cosa succederà; resterò finché la situazione politica si sarà stabilizzata con le riforme necessarie (e qui siamo abbastanza in alto mare). Dunque, questa la previsione non proprio logica, Napolitano lascerà a fine anno. Il Quirinale non ha smentito, ha solo fatto sapere, tradotto in basic italian, che “non è detto”.

E’ bastato questo perché si aprisse la fiera del toto-successori e perché la classe politica (ma anche in generale quella dirigente del paese) si buttasse nell’agone delle sponsorizzazioni previe e delle trame da talk show. In un contesto di nervosismo diffuso, con partiti e parlamentari che sono perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, si è aperta una falla che lascia passare torrenti di instabilità sulle scadenze in corso.

La ripresa di centralità della legge elettorale è emblematica. Si tratta in realtà di una questione ambigua, perché da un lato una nuova regolamentazione in questo campo costituisce un ricatto per la possibilità di un ricorso anticipato alle urne, ma dall’altro può anche costituire un fattore di stabilizzazione, perché mette tutti davanti all’incognita di cosa potrebbe uscire da elezioni anticipate con nuove norme senza che si sia avuto il tempo di organizzarsi sulla loro lunghezza d’onda.

Al momento su questo versante sembra sia in vista un accordo abbastanza largo, al di là delle schermaglie polemiche. Il sistema prevede il premio di maggioranza alla lista che avrà il 40% dei voti, oppure, se non si raggiunge questa soglia, un ballottaggio per il premio fra le due liste più votate. Attenzione: si parla di liste e non di partiti, perché ovviamente questo è il linguaggio tecnico delle elezioni, ma le parole hanno un loro significato, perché così non si esclude che nelle “liste” di un partito si possano candidare persone di altri partiti che rinunciano a presentarsi in proprio (è già accaduto in passato coi radicali). Dunque, da certi punti di vista, il tema delle “coalizioni” è cacciato dalla porta, ma può rientrare dalla finestra.

Ci sono poi le questioni delle soglie di sbarramento e delle preferenze. Sulle soglie sembra ci sarà alla fine un compromesso attorno al 4%: abbastanza per impedire frammentazioni eccessive, ma anche abbastanza per schivare l’obbligo di convergenze obbligate sui partiti maggiori. Più scivoloso il tema delle preferenze che sta molto a cuore a tutte le “minoranze interne” ai grandi partiti, convinte di avere dalla loro militanze agguerrite, cosa che normalmente non si dà (l’uso di indicare la preferenza non è molto diffuso, a dispetto di chi sostiene che i cittadini vogliono scegliere chi eleggere).

Il dibattito sulle questioni “politiche”, sta però mettendo in difficoltà gli scontri sulle scelte per la legge di stabilità e per quella sul lavoro. Ciò non dispiace al governo, ma non è detto che questa “distrazione” dell’attenzione gli giovi, perché anzi potrebbe rendere più facile il gioco di chi punta all’ostruzionismo che potrebbe essere praticato al riparo del controllo della pubblica opinione.

Per adesso siamo alle battute iniziali, ma a complicare ulteriormente le cose arrivano le indiscrezioni su uno stato preoccupante dei conti pubblici. Se si andasse più in là delle indiscrezioni e soprattutto se ci fossero le conseguenze che si possono immaginare, il quadro politico subirebbe uno scossone che muterebbe le nostre prospettive.

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