Il perdono a oltranza e le sorprese di Francesco

Veloci come i volteggi del gabbiano sul comignolo della Cappella Sistina, sono trascorsi già tre anni da quel “Buonasera” con cui il nuovo vescovo di Roma salutava il mondo. Tre anni da quel primo invito quasi confidenziale con cui Papa Francesco conclude ogni suo incontro: “Pregate per me!” oppure “Non dimenticatevi di pregare per me!”.

Perché quest'insistenza? Non glielo hanno voluto chiedere nemmeno i bambini con le loro domande schiette raccolte da Antonio Spadaro nel best seller in libreria col titolo “L'amore prima del mondo”. Con questo “pregate per me” Bergoglio non ci chiede certo il privilegio esclusivo di una preghiera globalizzata. Ci ricorda piuttosto il suo essere uomo bisognoso di aiuto (“sono solo un peccatore”), affidato alla paternità sconfinata di Dio. Con questo instancabile richiamo al “pregate per me!” il Papa argentino ci porta ad andare oltre la nostra umanità per proiettarci costantemente nella prospettiva trascendente dell'abbraccio di Dio in cui egli è immerso. Da questa spiritualità profonda, “custodita ogni giorno nella preghiera”, sgorgano le omelie mattutine a Santa Marta, ma anche i suoi gesti spontanei verso i disabili, le visite ai carcerati, le telefonate agli amici di lunga data.

Solo riconoscendo le continue sorprese di questa misteriosa ispirazione possiamo ripercorrere la traiettoria di questi primi tre anni di pontificato, che non si lascia certo ingabbiare da fredde analisi geopolitiche o miopi categorie giornalistiche (progressista/conservatore). Perfino i vaticanisti più navigati furono presi in contropiede il 13 marzo dello scorso anno all'annuncio di un Anno Santo destinato a rilanciare “la gioia del Vangelo”.

“La centralità della misericordia, che per me rappresenta il messaggio più importante di Gesù, posso dire che è cresciuta piano piano nella mia vita sacerdotale – ha risposto Bergoglio all’intervistatore Andrea Tornielli – come la conseguenza della mia esperienza di confessore, delle tante storie positive e belle che ho conosciute”. Come quella nonna che un giorno gli disse “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe” e gli ha suggerito l’immagine di un “Dio che non si stanca mai di perdonare. Mai”. Non vuole passare da star, Papa Bergoglio, tanto che riconosce a Ratzinger la frase “Il nome di Dio è misericordia”, a Woytjla l’idea della festa della Divina Misericordia e a Roncalli la preferenza ad “usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore” (dal discorso di apertura del Concilio).

Un approdo di gioia per tutti, il perdono ad oltranza, diffuso in questo Giubileo che è straordinario perché vissuto per la prima volta nella Chiese locali attraverso Porte Sante che hanno la serratura tipica di un carcere o di un dormitorio. Dal Papa che si è inventato una sosta a Cuba per incontrare dopo 800 anni un patriarca di Mosca chissà quali altre sorprese dobbiamo aspettarci: probabilmente quella di un ponte allacciato con la Cina!

A noi trentini forse basterebbe riprendere le sorprendenti raccomandazioni alla Chiesa italiana a Firenze a vivere “umiltà, disinteresse e beatitudine. Un invito a camminare in modo sinodale – “popolo e pastore, insieme” – tra poche settimane con il vescovo Lauro, al quale possiamo volentieri abbinare l'insistita richiesta di Francesco: “Pregate per me”.

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