Renzi, il referendum, l’Europa

A Bruxelles la vittoria di Renzi al referendum non è più data per scontata

Quasi in contemporanea si è avuta la rottura, credo definitiva, fra Renzi e la vecchia guardia del PCI-PDS-DS e quella con i vertici attuali dell’Unione Europea. Due eventi che potrebbero essere entrambi connessi più di quel che non sembri con la sorte del referendum costituzionale.

Magari si può pensare che nel primo caso questa connessione fosse scontata, ma crediamo non sia esattamente così. Bersani e compagni infatti rompono con Renzi dopo che Cuperlo, in teoria loro rappresentante, ha ottenuto dalla commissione incaricata di progettare la revisione dell’Italicum praticamente tutto quello che essi avevano chiesto. Si noti che il fatto non è smentito neppure dall’ex segretario, che si è limitato a dire che ritiene quelle concessioni scritte sull’acqua, sostenendo che solo facendo sconfiggere Renzi al referendum del 4 dicembre si sarebbe veramente potuto cambiare il quadro del sistema elettorale.

La notazione è sconvolgente sulla bocca di quello che è pur stato sino a non molto tempo fa un esponente del realismo del comunismo emiliano: fuori del politichese significa semplicemente che Renzi è considerato un bugiardo inaffidabile, ma al tempo stesso che una quota del suo partito si propone letteralmente di farlo fuori alleandosi in maniera decisa coi suoi avversari esterni. Non ci vuole molto a capire che ci si incammina su una strada che porta alla prova finale: chi vince, non farà prigionieri.

Renzi ha risposto per le rime, a nostro modesto parere dimostrando di non percepire il vantaggio su cui avrebbe potuto far leva. Anziché rammaricarsi di questo distacco e proclamare di volerlo evitare, ha calcato la mano sul “tradimento” della fedeltà di partito: un tema che andava bene ai tempi di Togliatti e forse di Berlinguer, ma che oggi lascia il tempo che trova e che anzi viene preso come l’ennesima manifestazione della “arroganza” di un giovane leader.

Ora di tutto il segretario/premier ha bisogno, tranne che di compiacere quelli che lo dipingono come un piccolo despota interessato solo ad affermare la sua personalità. Certo all’interno della classe politica il “o con me o contro di me” funziona sempre quando si capisce che tanto si andrà comunque alla sfida finale. Non funziona invece con l’opinione pubblica, la quale quando ci sono scontri così titanici (si fa per dire) preferisce scegliersi il ruolo dello spettatore che senza partecipare più di tanto si gode la tenzone. Un po’ di fanatici che da una parte e dall’altra incitano i rispettivi campioni servono solo a fare folklore ed a spingere ancora più il pubblico a starsene sugli spalti a guardare la rissa.

Si tenga conto che questo stato di cose comincia ad essere percepito anche presso i nostri partner internazionali. L’uscita di lunedì scorso di Juncker che ha bacchettato in maniera inusitata Renzi è un segnale da non prendere sotto gamba. Il presidente della Commissione non è esattamente un cuor di leone che ama la mischia, ma un navigato furbacchione che tende a tenere tutto sotto traccia. Se si è lasciato andare ad un attacco tanto esplicito, significa che non vuole apparire domani come uno che non ha contrastato un leader che in fondo non aveva la posizione per fare paura. Certo dietro questo c’è probabilmente la pressione dell’alta burocrazia comunitaria irritata perché “un italiano” si è permesso di sfidarla apertamente, ma a spiegare l’impennata non può bastare questo anche se si tratta di un elemento che ha più peso di quel che si pensa.

Gioca piuttosto il fatto che a Bruxelles la vittoria di Renzi al referendum non è più data per scontata e dunque non si può concedere a quello che potrebbe essere un leader nazionale azzoppato un ruolo di privilegio in un sistema a sua volta zoppicante come è l’attuale Unione Europea. Naturalmente si terrà tutto nell’ambiguità, pronti a far rapidamente marcia indietro, come in politica, specie a livello internazionale, è quasi una prassi consolidata. Perché ciò accada però sarà necessario che Renzi vinca al referendum con un buon margine: l’interesse nazionale dovrebbe spingere anche le opposizioni a valutare il tema, perché un paese svalutato in ambito UE significa avere conseguenze che peseranno su tutti, in primis su chi dovesse tenere il governo dopo Renzi.

Sono però ragionamenti troppo sottili e troppo responsabili per sperare che in quest’orgia crescente di populismo l’attuale classe dirigente ne tenga conto. Inevitabilmente bisognerà sperare nell’intuito del popolo che talora è più lungimirante dei suoi occasionali governanti.

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