Moleti di Rendena emigrati, valori (attuali) di un’identità

A Pimont (Mavignola) l’ “incontro” con il libro di Marzia Maturi sull’emigrazione degli arrotini

Lo spunto

Abbiamo case più grandi, ma famiglie più piccole/

più opportunità, ma meno tempo/

Abbiamo più diplomi e lauree, ma meno buon senso, più conoscenza ma meno capacità di giudizio./

Abbiamo più esperti, ma sempre più problemi, più medicine ma meno benessere/

abbiamo moltiplicato ciò che possediamo, ma ridotto i nostri valori/

Parliamo troppo, amiamo troppo raramente e odiamo troppo spesso/

Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere, ma non come vivere, abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni/

Siamo stati sulla luna e ritorno, ma abbiamo problemi ad attraversare la strada per far visita a un nuovo vicino/

Sappiamo contare la quantità, ma siamo scarsi in qualità.

Marzia Maturi, “Dalla Rendena siam partiti”

Pimont, 27 agosto 2019

Questa riflessione esprime bene il senso del libro “Dalla Rendena siam partiti” presentato a Pimont, per iniziativa della Pro Loco di Sant’Antonio di Mavignola, il 27 agosto. Pimont è un piccolo villaggio di antiche case che si può scorgere in alto, appena fuori Pinzolo, ed è una pertinenza di Mavigola, a sua volta paese di montagna autentico, non solo momento di passaggio fra le offerte turistiche di Pinzolo e Campiglio.

Ma Pimont è soprattutto un luogo di umile “resistenza”, di silenziose scelte personali, già ricordato – con la storia di Pompeo, che per anni ne è stato l’unico abitante – da Alberto Folgheraiter e Gianni Zotta nel libro “I villaggi dei camini spenti”.

Ora gli abitanti sono cresciuti e Mavignola vuole impedire che Pimont finisca come tanti, troppi paesi affidati alla monocultura turistica, che si trasformano in dormitori desolati non appena inizia l’autunno, altro che “camini spenti” … porte e finestre che non si aprono neppure. Mavignola, dal canto suo, resiste grazie a un gruppo di residenti e volontari che la animano in ogni stagione, grazie a un parroco che lascia Roma – dove ricopre un incarico di alta responsabilità – ogni fine settimana per salire a celebrarvi la Messa e a visitare famiglie e malati, grazie ad un’anziana, ma indomita sacrestana, Stella, che apre la chiesa, la tiene pulita, sollecita i momenti di preghiera, suona le campane, fa comunità insomma, e un piccolo coro che si esprime con un’armonia rara a trovarsi nelle parrocchie cittadine.

Da alcuni anni a Pimont, l’estate, per sollecitazione soprattutto di Carmen Caola e delle donne del paese, si radunano residenti ed ospiti per parlare di un libro, di un problema e al tempo stesso, con una fetta di torta fatta in casa, per incontrarsi con le antiche sapienze della montagna, la filatura della lana, i lavori a maglia, le giovani che imparano la meraviglia creativa dell’uso delle mani con i ferri (non solo cliccare telefonini!) gli uomini dei boschi e della legna, i “moleta” come Vittorino che non manca mai all’appuntamento.

Quest’anno l’incontro ha riguardato “Dalla Rendena siam partiti”, un libro-ricerca stupendo sulle storie di moleti ed emigrati di fine Ottocento e primi Novecento, scritto da Marzia Maturi, prematuramente scomparsa ed affettuosamente ricordata. Il libro esprime l’identità di una valle, non è un “revival” nostalgico di memoria, e lo testimonia il testo che lo conclude ( e che abbiamo riportato come inizio di questo “Sentieri”) tratto dal sito ”Children of Pinzolo” che riunisce i discendenti degli emigrati. Proprio questo testo rivela come l’emigrazione abbia indotto molti fra i più audaci ad allontanarsi dalla loro terra, rafforzandone però l’identità perché ne ha riconosciuto i valori. Non è un paradosso, è la realtà, anche perché l’emigrazione trentina – come hanno sottolineato nella presentazione Annibale Salsa ed Emanuela Rossini – non è stata una “fuga” di disperati. S’è inserita nella lunga tradizione (e necessità) del doppio lavoro alpino e dell’antica emigrazione stagionale verso le grandi città padane. Era un’emigrazione “specializzata” (segantini, moleti, salumai, paroloti, spazzacamini…) riguardava la povertà, non la miseria. L’emigrazione quindi – sia pure durissima – ha contribuito a rafforzare l’identità della valle, a radicarne la cultura e al tempo stesso ad aprirla al mondo, e sono ancora molte le famiglie, ritornate con i loro risparmi, che mantengono contatti con parenti oltreoceano, per cui figli e nipoti possono approfittare di scambi ed occasioni di lavoro. Ma al tempo stesso rimane la consapevolezza che nella società lacerata, “mercantizzata” e incattivita di oggi restano fondamentali i valori. Scrive Marzia Maturi: “Chi è emigrato e ha scritto queste parole, esprime come nel mondo d’oggi ci sia una contraddizione interna: chi partì non aveva nulla, fece una vita di sacrifici, morali ed economici, sradicato dal proprio ambiente, dalla casa, dalla famiglia, mentre i figli di emigranti non riescono ad assaporare quello che hanno avuto dai genitori. Il messaggio è chiaro e mostra una necessità di ritorno alle origini, ai valori condivisi, con genitori e nonni”.

E’ questa la sfida che la montagna si trova ad affrontare oggi e che Pimont, attraverso il libro di Marzia Maturi rilancia, con la sollecitazione a riprendere una “resistenza” di fronte all’appiattimento globale, all’individualismo egoistico, alla guerra di tutti contro tutti contrabbandata per concorrenza, alla rinuncia di quella solidarietà che ha invece sostenuto il lavoro dei moleta, capaci di organizzarsi in società di mutuo soccorso e in sindacati professionali, i “Grinder”. Perché mai come oggi la montagna è stata così ricca, e mai così scontenta, mai vi sono state tante occasioni di lavoro e mai i giovani sono stati così numerosi nell’andarsene altrove. Magari rinunciano a un appartamento di proprietà e a un lavoro sicuro e vivono in periferiche camere d’affitto metropolitane, perché pensano non tanto di avere più soldi, ma più occasioni di vita. Non basta riempire di “eventi” e “chef” stellati un paese per farlo vivo. Ecco quindi che l’emigrazione costituisce una doppia lezione. Gli emigrati sapevano innovare (gli arrotini prestavano un servizio “porta a porta”, come oggi fa Amazon, non attendevano i clienti in negozio) ma sapevano anche sostenersi reciprocamente. Sapevano andare e sapevano ritornare, magari con pochi risparmi, ma con un bagaglio di esperienze moltiplicato. Per riuscirci sapevano che dovevano rinunciare magari al riposo, ma non ai valori: la scuola, la famiglia, volersi più bene. Sono i “segreti” di vita che dal piccolo paese di Pimont vengono riproposti.

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