Giorgio Franceschi, dopo l’ospedale una Pasqua speciale

Giorgio Franceschi ritornato a casa dopo il ricovero di 12 giorni all’ospedale di Rovereto

“Quando, dopo dodici giorni di terapia all’ospedale di Rovereto, sono tornato finalmente a casa fra i miei ho provato la vera gioia, una felicità indimenticabile”. Sarà una Pasqua speciale per Giorgio Franceschi, 60 anni, da 25 amministratore delegato di ISA (Istituto Atesino di Sviluppo), uno dei circa 350 trentini guariti finora dal Covid-19. Anche se la certificazione deve ancora avvenire dopo i tamponi di conferma, il Venerdì Santo Franceschi potrà contare trenta giorni dall’inizio di questa “avventura”, a tratti angosciante.

“Finché i sintomi sono stati curati a casa c’era molta incertezza ancora sulla pandemia – racconta – dicevo a tutti la speranza di non essere contagiato. Però quando, a seguito di una radiografia e del tampone, è arrivata la diagnosi col ricovero a Rovereto, mi sono preoccupato, mi sentivo completamente impreparato!”.

E qui il manager sempre di corsa, esperto uomo di finanza stimato anche oltre Tevere (consulente di APSA, l’ente vaticano guidato da mons. Galantino), confessa l’angoscia di allora e soprattutto la riconoscenza di oggi. “Ne devo molta a mia moglie e ai miei familiari, ma anche al mio medico di base che mi ha preso per mano, mi ha seguito passo passo, chiamandomi quasi ogni giorno. E poi al personale sanitario dell’ospedale di Rovereto”.

Mentre ne parla, con qualche groppo di commozione, Franceschi sembra rivederne i volti mascherati, riconoscerne i nomi scritti sopra la tuta bianca. “Ho visto in loro tanta tenerezza, tanti atteggiamenti d’incredibile disponibilità. Ognuno di noi lì dentro si sentiva solo, disorientato, ma non ci facevano mancare la vicinanza umana, pur nella frenesia operativa, quella di un gruppo d’instancabili formichine”.

Dopo i primi giorni, quando non si ha voglia nemmeno della lettura mattutina dei quotidiani (“per me è sempre stato un rito – confida Franceschi – ma lì dentro mi dava solo angoscia”), quando i farmaci retrovirali ti sfiancano di ora in ora e l’appetito sembra esaurito per sempre, una mano straordinaria viene solo dal personale infermieristico: “Vuole provare a mangiare almeno uno yogurt? mi ricordo bene quest’invito da parte di un’infermiera che non conoscevo e che mi ha raccontato del suo ritorno alla sera a casa, senza poter però avvicinare i familiari. Questi gesti di rara sensibilità fanno la differenza in certi momenti della vita. Me li porterò dentro a lungo”.

Gli occhi fissi sui valori del saturimetro, l’ascolto continuo del proprio respiro, soprattutto quando senza mascherina su naso e bocca il fiato comincia ad andare in affanno e temi di peggiorare la tua condizione e finire nel reparto dei più gravi. “Nonostante la possibilità di scrivere messaggi a casa, ad un certo momento ti trovi solo con te stesso, con le tue paure e le tue domande. Se ci penso, quello che più mi ha aiutato in quella fase è stato mettermi completamente nelle mani del Signore. Mi sono deciso di affidarmi completamente a Lui e devo dire che da quel momento ho provato una serenità totale, di fondo, che mi ha accompagnato”.

Il manager trentino (padre di quattro figli, una dei quali è medico in Galles) non aveva avuto finora ricoveri ospedalieri e tiene a sottolineare la buona qualità del sistema sanitario trentino (“sono stato seguito bene in ogni momento, ogni giorno ricevo una telefonata per una verifica delle miei condizioni”), augurandosi che tanti altri pazienti possano seguire il buon esito del suo percorso.

Tra qualche settimana dovrà rimettere la cravatta, riprendere il treno per Roma, infittire l’agenda da business man.

Cosa le rimarrà di questi mesi? “Per me, ma penso per tutti, dovranno cambiare molte cose. Pensavamo di essere invincibili e invece abbiamo fatto i conti con la nostra fragilità. L’incertezza ci porterà a ripensare alle cose essenziali della vita, a rivedere quella gerarchia di valori che era forse sbagliata. Direi un ultimo aspetto-chiave: dovremo scoprire un nuovo senso del limite, perché stavamo andando oltre. Dobbiamo riflettere anche per trovare nuovi modelli di sviluppo e di convivenza, anche a livello globale”.

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