La cooperativa ALPI si dà alle mascherine

Alcuni dipendenti della cooperativa ALPI al lavoro nella produzione di mascherine

Dopo un mese di isolamento e senza sapere quando questo periodo potrà finire, si cerca almeno di immaginare quella che il premier Conte ha definito la “fase 2”, in cui per forza di cose si dovrà “convivere con il virus”. Se istituzioni ed esperti sono al lavoro per definirne procedure e tempistiche, c’è un punto fondamentale sul quale gli enti locali già si stanno portando avanti: l’obbligo di utilizzo delle mascherine, utili a limitare la diffusione del contagio in situazioni obbligate come la spesa o il lavoro.

Sono tante quindi le realtà produttive che in questi giorni stanno riconvertendo la propria attività per far fronte ad una richiesta decisamente alta ed urgente. Una scelta non certo semplice, che necessita di competenze da affinare e professionalità da reinventare, ma che non ha spaventato la cooperativa sociale Alpi e nello specifico il suo reparto tessile, conosciuto in tutto il Trentino sotto il marchio “Redo upcycling” per la produzione di borse e accessori confezionati con materiale di recupero e attraverso un processo produttivo sostenibile.

Proprio per evitare di improvvisare un prodotto non adeguato, in un primo momento Alpi aveva deciso di “lasciar fare a chi se ne intende”, come diceva un post sui social in cui la cooperativa si metteva a disposizione per contribuire con chiunque avesse un progetto valido nella fabbricazione di mascherine. E così è stato, come ci racconta il direttore della cooperativa Silvano Deavi: “Credo che in questo periodo tutte le realtà che operano nel tessile siano state sollecitate sull’argomento. Le mascherine sono un oggetto delicato che va realizzato con responsabilità, per questo abbiamo potuto avviarne la produzione solo dopo aver trovato un produttore già esperto che ci ha passato sia il materiale adatto che il know how necessario. Siamo riusciti a reperire materia prima per fare un lotto di 10 mila mascherine: una boccata d’ossigeno sia per la nostra attività sia per il bisogno che c’è in questo periodo”.

Dopo lo stop forzato, infatti, circa una decina delle trenta persone abitualmente occupate nel reparto hanno potuto tornare a lavorare, “naturalmente con le dovute attenzioni e misure di sicurezza, seguendo le indicazioni dell’Azienda Sanitaria”, specifica Deavi, rilevando il buon livello di responsabilità e consapevolezza da parte del personale coinvolto.

“Abbiamo scelto di fare mascherine lavabili e quindi riutilizzabili, che essendo prodotte a mano hanno una lavorazione un po’ più complessa e bene si prestano alle competenze dei nostri lavoratori”, spiega il direttore, raccontando di come l’idea abbia immediatamente raccolto un interesse fuori dal comune: “Siamo partiti dopo le sollecitazioni che ci sono arrivate dal mondo della cooperazione, quindi inizialmente pensavamo di rifornire solo alcuni ambiti territoriali limitrofi come cooperative, consorzi o la sezione degli alpini, ma appena si è sparsa la voce, grazie anche ad un servizio televisivo, ci sono arrivate così tante richieste che ci hanno convinto a rivolgerci a tutti”.

Con i punti vendita tradizionali chiusi, il canale di vendita è soltanto quello online, attraverso il sito già ben rodato dalla commercializzazione delle borse, quindi la transizione, che potrebbe durare più del previsto, non è stata troppo difficile, conclude Delvai: “Noi non vediamo l’ora di riaprire e riprendere a fare borse, però stiamo valutando di provare a fornire il servizio per tutto il tempo che sarà necessario. Il punto centrale è la certificazione delle mascherine: stiamo lavorando assieme a Federsolidarietà per arrivare ad una rete di cooperative sociali che producano in modo certificato, secondo procedure ben precise, per i vari territori sui quali sono radicate. Rimarrà un’esperienza locale ma dentro un progetto più ampio che valga per tutte le regioni d’Italia”.

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