Gli attacchi a papa Francesco e le chiese vuote

Sigfrido Ranucci, conduttore della trasmissione di RAI3 “Report”

Lo spunto

Caro Franco,

sento il bisogno di scriverti questa nota per commentare il servizio che l’ente pubblico Rai 3 ha mandato in onda mercoledì scorso e replicato sabato pomeriggio.

Si tratta della rubrica Report che questa volta ha affrontato il tema delle inimicizie che circolano per il mondo contro papa Francesco.

Avevo sentito che in America c’è un gruppo di “intellettuali” che contestano il modo di guidare la Chiesa dell’attuale Pontefice, ma che addirittura questo gruppo abbia filiali in vari paesi del mondo proprio non lo sapevo, e quello che più mi ha colpito è il fato che anche a Roma vi è un gruppo ove il manager responsabile è un personaggio che voleva addirittura comperare il Palermo calcio.

Che nella Chiesa vi sia sempre stata qualche posizione diversificata, fino ad arrivare alle famose eresie, è un dato di fatto.

Ma che dal servizio risulti che questo Pontefice sia un incapace poco teologico, quasi più politico che pastore, proprio a me non sembra la verità.

Il tono di alcuni interventi poi, rispetto ad un uomo che parla solo di amore e di fratellanza tra gli uomini, mi è sembrato una sventagliata di odio che purtroppo si dice sia anche coperto da qualche cappello cardinalizio.

A me sembra che forse il mondo cattolico normale ossequiente non solo ai dettami del vangelo ma anche al continuo catechismo giornaliero di Papa Bergoglio meriterebbe forse una presa di posizione più decisa dalla Chiesa ufficiale e anche dai semplici fedeli.

Amore sì, pazienza sì, fiducia sì, speranza sì, ma odio no.

Questo è quello che mi ha spinto interiormente, da credente, a ribellarmi con questa piccola nota.

Paolo Cavagnoli

Questa lettera a “Sentieri” merita una riflessione laica, forse personale. Seguendo un po’ le sensazioni e un po’ l’esperienza, papa Bergoglio è attaccato – dall’interno – per tre ragioni soprattutto. Primo, perché porta (riporta) il cristianesimo dentro il crogiolo di dolori e paure, di cadute e riscatti che è la storia dell’umanità di oggi, traendolo dalla “monocultura” dei teologi (e delle più che sottili discussioni accademiche) che pur con le migliori intenzioni l’hanno avvolto nella loro cappa. Perché restituisce il cristianesimo ai peccatori, insomma, invece di affidarlo agli esegeti “scientifici”.
Il secondo
motivo di questi attacchi sta nel fatto che Bergoglio interpreta il suo servizio con pienezza sacerdotale. Cerca il “popolo di Dio”, ma sa che questo popolo ha bisogno di un Pastore. E il “buon pastore” non è l’icona sacrale e lontana della Chiesa trionfante, ma neppure lo “stregone” della fede che i seminaristi sessantottini, generosi e irrequieti, contestavano.

E’ il pastore che va in cerca delle pecore perdute ma – come abbiamo sentito domenica scorsa – tiene l’ovile aperto per quando torneranno. In questo Bergoglio, da papa, insegna ai sacerdoti come fare i preti senza timore, senza soggezione e senza complessi di inferiorità.

L’immagine potente del Papa, solo in piazza San Pietro in questi giorni, conferma la centralità del ruolo sacerdotale, ma al tempo stesso sottolinea l’attesa, l’esigenza che torni ad esserci un “popolo di Dio”, non solo un’”assemblea di fedeli”.

Il Pastore, poi, insegna a sperare e a pregare, ma in questo suo atto totalmente religioso rilancia al tempo stesso il ruolo anche civile del papato.

Il Papa solo, in quell’ovile che è il colonnato di San Pietro, si pone come vescovo di Roma, ma Urbi et Orbi, di fronte alla Città e al Mondo, Pontifex, pontefice, costruttore di ponti, fra cielo e terra e fra realtà diverse nel mondo, fra le religioni, le culture, le vette e gli abissi dell’umanità. E’ questo, a ben vedere, che fa paura e crea ostilità.

Questo Papa non è il metropolita autocefalo che media (necessariamente) con il potere, ma non è nemmeno l’icona sacra irraggiungibile che si occupa solo delle cose celesti e lascia agli uomini sbrigare i loro affari e fare i loro soldi. E’ il Papa di Roma che di fronte alle ingiustizie del mondo non si limita a denunciarle, ma sottolinea: “Questa non è ideologia, è cristianesimo”.

E’ il Papa di Roma che ammonisce i governanti d’Europa sulla loro responsabilità pubbliche e civili, sul ruolo che l’Europa deve e può ancora svolgere nel mondo, e così facendo – e dicendo – il Papa fa rinverdire le “radici cristiane d’Europa” che ci sono, ma che sono state fatte seccare, che sono state abbandonate, ma che una buona potatura può far rifiorire.

E la potatura è forse data dalle chiese deserte, ma dalle anime piene di speranza che la devastazione e la solitudine del virus ci pongono davanti. Stiamo forse assistendo ad una rivoluzione paragonabile a quella delle tesi affisse alla porta del duomo di Wittenberg, una riflessione profonda sull’essere cristiani nel terzo millennio, un fare i conti con il passato, con tutta una cultura, con se stessi. La figura potente del Papa solo, in piazza san Pietro, è, in questo contesto più che un simbolo. E’ un richiamo alla profezia della solitudine. Anche Cristo era solo nell’orto degli ulivi, mentre i discepoli dormivano. E Giovanni Maria Vianney, il povero Curato d’Ars, destinato ad una sperduta parrocchia francese dopo la violenta scristianizzazione portata dalla Rivoluzione, trovò la sua chiesa vuota quando la raggiunse. Nessuno la frequentava. Egli si mise dentro da solo, ad aspettare, ad attendere che qualcuno venisse, cercasse una parola, un ascolto… vennero poi da tutta la Francia a confessarsi.

Bergoglio viene attaccato perché queste cose forse non piacciono a molti che vorrebbero ingessare la figura papale in un ruolo, magari di professore di teologia, o di uomo di potere per farlo poi muovere e interagire sulla scacchiera dei giochi e degli interessi internazionali.

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